Da mesi e in modo bipartisan gira l’accostamento fra Trump e Berlusconi che serve agli uni per fare professione di fede nel miliardario e nei suoi “valori”, mentre è indispensabile agli altri per sostenere la guerrafondaia e corrotta Clinton.
Ovviamente si tratta anche in questo caso di un mascheramento collettivo che partendo da alcune sommarie analogie, costruisce un facile teorema per tenere a dovuta distanza la realtà: Trump non c’entra proprio nulla col Cavaliere che scese in campo nel vuoto creatosi alla fine di un ciclo politico chiuso con il crollo del muro di Berlino, ma c’entra molto invece come effetto paradossale della menzogna globale perché la sua discesa in campo contro una cocchina dell’establishment è la dimostrazione che la crisi esplosa nel 2008 non solo non è stata risolta, ma è divenuta endemica e investe in pieno quella classe media impoverita nei fatti e presa in giro dalla statistica.
La fuoriuscita dalla recessione, la mitica ripresa, il ritorno del lavoro, tutte cose che conosciamo da vicino nella loro retorica, sono il ritornello liberista che sceglie anche gli interpreti più adatti, il nero, la donna, il giovane, il sedicente socialista, insomma le figure più adatte a rappresentare ora un nuovo di fantasia, ora un apparente progresso, ora un ritorno alla civiltà del lavoro, ma che in ogni caso esprimono emotivamente il contrario delle politiche che poi vengono imposte in modo da smorzare le reazioni, fanno da placebo insomma.
Così non è un mistero che il recupero dei posti di lavoro in Usa, prodotto da Obama per un terzo esiste solo sulla carta, e per due terzi riguarda nuove attività a basso salario e a elevatissima precarietà nel commercio al dettaglio, nella ristorazione, nel settore alberghiero. I salari medi sono così drammaticamente calati arrivando ai livelli del ’79, ma con impatto psicologico devastante dovuto all’inversione di una tendenza che pareva infinita e che le teorie economiche asseveravano.
Chi è cultore delle produzioni di intrattenimento e di inevitabile propaganda proveniente dagli Usa e/o dal mondo anglosassone in genere ha forse notato che via via il sogno americano si è ridotto a pagare le bollette e a sposarsi anche se un insistente quotidiana propaganda colpevolizza i poveracci perché si sa che col duro lavoro e con l’impegno nessuna meta è fuori portata. Nient’altro che l’ipocrita trasposizione contemporanea di antropologie e visioni sociali vendibili nel periodo delle vacche grasse, ma ormai talmente lise da apparire grottesche, ancorché ancora professate per abitudine e per atavici condizionamenti.
Per tutta questa gente che pensava di andare in purgatorio per un po’ e invece si è ritrovata all’inferno, Trump, per dirla con le parole di Michael Moore rappresenta una molotov contro il sistema, “contro i bastardi che hanno fatto questo”.
Poco importa che Trump faccia parte di quell’ 1 per cento di super ricchi che hanno creato il disastro e poi ne hanno approfittato per dare la spallata finale verso la disuguaglianza assoluta, perché la rabbia è tale che si arriva a brandire anche un’arma impropria. Paradossalmente voteranno per il miliardario parecchi di quelli che non hanno mandato giù i brogli della Clinton per superare Sanders, mentre per la moglie di Bill voteranno molti conservatori timorosi che Trump possa mettere in pericolo lo status quo anche col solo fatto di essere un candidato irrituale.
Da un punto di vista politico i due personaggi sono peraltro solo versioni o interpretazioni della medesima narrazione americana: con la Clinton più concentrata sugli assetti di potere attuali e sull’egemonia globale, Trump invece deciso a difendere in prospettiva l’America bianca e di conseguenza anche l’ideologia profonda che essa ha creato. Nessuna delle due posizioni, al contrario di quanto dice la grande stampa e suggerisce in maniera pavloviana la tv, è di per sé una degenerazione rispetto al passato (vedi nota). Ciò che invece sta degenerando è il sistema che ha incontrato alla fine le sue aporie e le sue contraddizioni, che in un modo o nell’altro deve gettare la maschera.
Nota.
I muri di Trump, espressione di un razzismo grossolano, sono in realtà sempre esistiti anche se non si vedevano e se attualmente vengono nascosti sotto una valanga di political correct. Forse un esempio emblematico, oltre che curioso, è quello del Pentagono finito di costruire nel ’43, ufficialmente per combattere Hitler, in cui esistevano bagni separati per bianchi e neri, visto che la Virgina, dove sorge l’enorme complesso, era assieme ad altri venti stati era in pieno regime di segregazione razziale e addirittura vietava i matrimoni misti perché come dice una famosa sentenza ancora degli anni ’60:”Non c’è nessuna ragione per autorizzare il matrimonio tra le razze. Il fatto che Dio le abbia separate, infatti, mostra che non intendeva farle mischiare”. Solo nel 1967 i bagni sono stati legalmente unificati.
Il razzismo della Clinton è invece del tipo imperial – vittoriano, vista la noncuranza con cui la signora ha provocato un milione di morti in medio oriente con le sue manovre, mentre si arricchiva con la fondazione. E’ lo stesso razzismo cinico e compassionevole insieme che ha portato Madeleine Albright a dire a un Tony Blair consenziente che la morte di mezzo milione di bambini iracheni “è un prezzo che vale la pena di pagare”. Inutile dire che Blair è stato successivamente premiato da Save the Children.
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