La fine della egemonia nordamericana e le sue “pericolose” conseguenze

di Luciano Lago

La faccia mostrata da John Kerry durante gli ultimi negoziati svoltisi a Ginevra sembrava  sempre più terrea e il capo della diplomazia USA ne aveva  ben motivo, vista la quantità di insuccessi e di veri e propri rovesci che la politica estera USA, mirata al mentenimento dell’egemonia unipolare, sta accusando.

Si era iniziato con il Brexit della Gran Bretagna, il fedele socio ed alleato USA che si era voluto sottrarre alla disfunzionale Unione Europea avvertendone in anticipo la profonda crisi in cui si trova l’Unione. Nonostante gli accorati appelli di Obama, la maggioranza dei sudditi di Sua Maestà britannica hanno voluto dare un calcio all’Unione Europea e fare uno sgarbo al potente alleato d’oltre oceano. Non era il primo sgarbo fatto agli USA, l’altro era stato segnato dalla partecipazione del Regno Unito alla nuova Banca Mondiale  creata dalla Cina,  – Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), in concorrenza con il FMI, dominato dagli USA.

Il Brexit ha comunque dimostrato che, nonostante gli “ordini” dati da Obama ai cittadini britannici di votare per rimanere nella UE, questi hanno snobbato le ingerenze dei “cugini” nord americani ed hanno votato con la loro testa e riprendendo possesso del vecchio “orgoglio nazionalista” britannico da sempre in contrapposizione con il Continente.

Nello stesso periodo  è subentrato l’intervento russo in Siria con tutte le sue conseguenze che ha messo in crisi il vechio piano USA di balcanizzazione di quel paese per gli interessi che da molto tempo Washington nutre circa il passaggio dei gasdotti in Siria e per la posizione strategica di questo paese nello scacchiere mediorientale. L’intervento russo- iraniano in Siria, con la realizzazione anche di base aerea russa in Iran, sta creando forti ed inaspettati problemi nella strategia di Washington ed un brusco risveglio alimentato anche dal riavvicinamento della Russia all’Egitto ed alla Turchia.

L’Egitto, uno dei migliori clienti degli USA nella regione ed il più popoloso paese arabo, non soltanto si è staccato dall’alleanza con l’Arabia Saudita,con cui partecipava alla coalizione per il conflitto nello Yemen, ma ha preso apertamente posizione a favore della Siria di Assad e ha attuato un clamoroso riavvicinamento con la Russia sia sul piano della cooperazione che su quello militare.

Confronto USA Russia Cina
Confronto USA Russia Cina

Viene ad essere messa in questione la pretesa invincibilità di Washington e quella degli Stati Uniti come unica superpotenza egemonica nel mondo oltre alla perdita di affidabilità che viene attribuita alle intese di lungo periodo con gli USA e di questo ne sta facendo le spese lo stesso John Kerry nei suoi giri fra Europa, Medio Oriente ed Asia.

Il clima non è più favorevole per i rappresentanti di Washington: i disastri creati nel Medio Oriente, in particolare in Iraq ed in Libia, la guerra infinita in Afghanistan, il sostegno occulto, divenuto adesso palese, da parte degli USA al terorrismo islamico in Siria, hanno contribuito a far peredere ai nordamericani quella caratteristica di “alleato indispensabile” di cui gli USA alimentavano la fama.

Questo spiega perchè paesi come l’Egitto, una volta nell’orbita nordamericana, si slaccino dai vincoli mantenuti con gli USA ed approccino verso la Russia e verso la Cina, viste come alternative al predominio USA.  Guarda caso la Russia si è impegnata a fornire all’Egitto armamenti ultra moderni ed a realizzare una centrale nucleare nel paese.

Da ultimo si è verificato il clamorso caso delle Filippine, paese che da 70 anni si trovava nell’orbita degli USA e con uno stretto rapporto di collaborazione economica e militare con Washington. Il presidente Duarte ha rotto in maniera molto netta con gli USA ed ha dichiarato di voler stringere accordo di collaborazione con la Cina e risolvere in modo pacifico  la disputa sulle isole del Mar Cinese meridionale, disputa che gli USA cavalcano in chiave anti cinese.

La stessa Turchia, ambiguo alleato del fronte NATO, adesso inizia a voltare le spalle alla subordinazione ed alle direttive di Washington e gioca per conto proprio la sua partita cercando di allargare la propria influenza nella regione. Bisogna tener presente che, dopo il tentato golpe, Erdogan ha perso fiducia nei circoli di Washington e  per questo motivo ha preferito fare la pace con i russi e cercare una formula di accordo con Mosca per la questione curda.

Erdogan si è dovuto scusare  con i russi per la vicenda dell’aereo russo abbattuto ed ha accettato di far risarcire le famiglie dei piloti. Una umiliazione pubblica obbligata  per la ripresa dei rapporti con la Russia di  Putin.

Il riavvicinamento della Turchia a Mosca rappresenta, fra le altre cose, la prosecuzione del progetto del gasdotto South Stream, fortemente osteggiato dagli USA, che trova un nuovo sbocco e la possibilità di fornire il gas russo all’Europa attraverso la Turchia (Turkish Stream) e che di fatto mette  fuori gioco l’Ucraina, con tutti gli inutili ricatti di Kiev verso Mosca. Un’altro duro smacco questo per Obama che, con le sanzioni, aveva cercato in tutti i modi di far affossare il progetto. Questo spiega il pessimo umore e la frustrazione di John Kerry nelle ultime settimane.

Non passa quindi un buon momento per l’influenza dei nord americani in Medio Oriente dove, oltre al fallimento della loro strategia,  rischiano di essere soppiantati dall’alleanza della Russia con l’Iran, con l’Iraq e con l’Egitto, oltre che con la Siria dove la presenza russa si sta trasformando da provvisoria in definitiva con realizzazione di altre basi aereo navali.

La Russia si gioca il suo nuovo ruolo di grande potenza nel Medio Oriente e nel Mediterraneo dove, lo stesso governo egiziano, sta trattando per concedere ai russi una base navale, un’altra oltre a quelle in Siria.

Questo quadro tuttavia  rende più pericolosa e rabbiosa la reazione di Washington che non si rassegna a perdere la partita in Siria e cerca in tutti i modi di far impantanare la Russia nel conflitto, riprendendo il vecchio progetto di armare e addestrare altre migliaia di ribelli siriani, che sono in realtà per la maggior parte sauditi (circa 30.000 i miliziani sauditi attualmente in Siria) oltre che  turchi, tunisini, algerini, pakistani, ceceni e di molte altre nazionalità. Il progetto di Obama, con l’accordo anche del Pentagono e della Clinton, è quello di fornire armi sofisticate ai miliziani pro USA ed Arabia Saudita che combattono in Siria, fra cui i lancia missili portatili Stinger  per poter abbattere gli aerei russi e siriani, senza escludere la possibilità di attaccare direttamente l’Esercito siriano e le basi dell’Aviazione siriana, come già avvenuto ad Eir Ezzor il 17 Settembre, mascherando l’attacco come “un errore”.

Una scelta molto pericolosa ed azzardata quest’ultima che comporterebbe uno scontro diretto fra le forze USA e quelle Russe che sono sul terreno assieme all’Esercito siriano e che, attraverso il portavoce del Ministero della difesa russo,  hanno messo sull’avviso e dichiarato più volte che “un attacco contro l’Esercito siriano equivarrebbe  ad una attacco alle forze russe”.

Per questo i russi hanno attrezzato in Siria un efficientissimo sistema di difesa antiaereo con rampe di missili SS-300  e SS-400 che non permetterebbe agli aerei della coalizione USA di passare indenni e, a maggiore conferma, una potente squadra navale russa si trova già nel Mediterraneo per dare manforte alle forze russe   in Siria contro qualsiasi tentativo di aggressione, hanno dichiarato dal Cremlino. Vladimir Putin dimostra di “non mollare  la presa” in Siria e Washington, che sia Obama o la nuova Amministrazione, dovranno valutare bene le conseguenze delle scelte che vorranno fare. Queste, se “avventate” e dettate dalla cricca guerrafondaia dei “neocons”  potrebbero anche essere “dolorose” per gli USA e per i loro alleati.

Il ricordo del Vietnam potrebbe tornare utile agli Stati Maggiori USA per rammentare che, quello della “invincibilità” americana, è un mito ormai scaduto.

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