Intervista a Theotonio dos Santos a cura diAlberto López Girondo
Traduzione di Marx21.it
Theotonio dos Santos, a 79 anni si può dire che ha vissuto i grandi processi politici sulla propria pelle, dal suo esilio in Cile dopo il golpe del 1964 e il suo nuovo destino in Messico dal 1973 al ritorno in patria con il passaggio alla democrazia nel 1985. E’ stato uno dei pilastri della Teoria della Dipendenza e in seguito del concetto di Sistema Mondiale. Ora, di passaggio a Buenos Aires su invito del Consiglio Americano di Scienze Sociali, di cui è stato tra i fondatori, cerca di spiegare perché il governo di Dilma si è trovato in agonia e la regione subisce il ritorno al neoliberismo che pareva essersi allontanato da essa.
“Vedo la situazione in America Latina come parte di un’offensiva più generale a livello mondiale, il cui elemento determinante è la perdita del controllo economico e politico da parte del centro egemonico del sistema mondiale, rappresentato dagli Stati Uniti”.
Come si manifesta questa offensiva?
Siamo di fronte ad una posizione disperata per il recupero del potere e sebbene non si sia ottenuto il risultato sperato, si sono avuti effetti locali abbastanza distruttivi. E’ il caso del Medio Oriente, dove si è creata una crisi profonda, e della Russia che, dopo avere partecipato al progetto di integrazione, è tornata alla sua condizione di nemica dell’Europa.
Il nuovo scontro comincia in Siria?
Si guarda alla Russia come a una minaccia soprattutto per la sua alleanza con la Cina, che la pone ancora una volta entro lo schema del conflitto mondiale. Finora gli Stati Uniti sono riusciti solo a creare certe condizioni relativamente difficili nell’ex mondo sovietico, ma senza avere il controllo della situazione.
L’attacco contro il governo di Dilma si spiegherebbe allora con l’accerchiamento ai paesi del BRICS?
Tutto ciò che non è sotto il controllo degli Stati Uniti si trasforma in una minaccia e i BRICS sono una minaccia strategica per gli USA. E in un certo senso hanno ragione, perché occupano uno spazio che prima occupavano loro. Nel caso latinoamericano, la loro preoccupazione è per il petrolio e fondamentalmente per il Venezuela, che ha le riserve più grandi del mondo, e per il Brasile, dopo la scoperta del Presal, che ha assicurato parte dei profitti a salute, educazione, scienza e tecnologia.
Hanno frenato, boicottato il Governo di Dilma, hanno riempito il Congresso di impresentabili…
Questo non è difficile (ride)
La domanda è perché il Partito dei Lavoratori (PT) non ha potuto farci nulla
Il PT ha sempre giocato una carta di scambio e una delle conseguenze di questa politica è stata l’abbassamento del livello di mobilitazione sociale e politica.
E’ stato il suo grande errore?
Io che ho sempre potuto parlare con Lula di queste cose gli ho detto che avrebbe dovuto tenere l’unità della sinistra mentre negoziava con chi ne era fuori, che doveva conservare una base molto forte per la negoziazione. Se ti restringi a te stesso, il risultato è che cominci a dipendere sempre di più dal negoziato. Lula aveva un potere di contrattazione molto alto e c’era l’aspettativa che il PT e il PSDB governassero in alternanza. Questo era il progetto di Fernando Henrique Cardoso dopo la sua rottura con la Teoria della Dipendenza. Ma ci sono state molte concessioni inutili e molto negative. Perché un paese non può permettersi di patrocinare la creazione e il rafforzamento di una minoranza finanziaria che vive di improduttività e speculazione.
Ma il PT non ha mai attaccato questi gruppi finanziari.
Al contrario, il presidente della Banca Centrale di Lula, Henrique Meirelles, ora è ministro dell’Economia (di Michel Temer) e viene dai tempi di Fernando Henrique. E’ una figura della finanza internazionale. Ciò ha contribuito a consolidare la relazione di Lula con il sistema finanziario, ma il risultato è stato catastrofico.
Cosa è successo in seguito? Dilma non ha la stessa forza contrattuale?
Ci sono un paio di questioni, in primo luogo il calo del prezzo del petrolio con l’aumento della produzione negli Stati Uniti attraverso il fracking, che ha avuto un grande impatto, per un periodo determinato. Attorno a Dilma si è formato un gruppo molto critico in merito a che il PT cercasse di affrontare queste situazioni negative e si è detto che era necessario operare un aggiustamento. Tutto ciò in un contesto in cui si affermava che stavamo attraversando una crisi molto pericolosa e l’inflazione era in crescita, un’inflazione che però non esisteva – era del 4 percento o poco più – ma che si è manifestata con l’aumento del tasso di interesse.
Ciò è accaduto nel gennaio 2014 quando ha assunto il secondo mandato.
Già nel 2013, aveva iniziato ad accettare l’idea, costretta dalla Banca Centrale, del rialzo dei tassi. Stava aprendo la strada al contenimento della crescita e non alla cessazione dell’inflazione. Al contrario, una cosa che io sostengo da anni nel confronto con differenti correnti del pensiero economico borghese, è una storia che l’inflazione sia il risultato di un surplus economico e che solo può essere contenuta attraverso l’aumento dei tassi di interesse.
Una ricetta monetarista classica.
Il risultato drammatico è che aumenta l’inflazione. Che conclusioni se ne traggono? Che la teoria e l’applicazione sono sbagliate, ma loro si limitano a dire che è salito poco il tasso di interesse. Si è creato il clima perché ciò accadesse e ci siamo trovati con il 14% di interesse e una crescita sempre minore.
Come sarà il futuro? Dilma ritornerà o no?
La sensazione è che non ci sarebbero le condizioni per un ritorno perché la campagna è stata molto forte, ma il governo di transizione ha fatto molte cose detestabili e persino paradossali. E’ un atto di grande violenza che si proponga di aumentare l’orario settimanale di lavoro e che si colpisca anche lo stesso salario minimo, che Lula aveva aumentato del 200%. Ciò assume una dimensione enorme nella vita della gente. Se tu inizi a credere che puoi proporre queste cose in un regime di eccezione, immagina che cosa arriverai a fare al potere. Ciò sta creando una situazione difficile che non si è tradotto ancora in una formula di sostegno a Dilma, ma nel PT non si esclude la possibilità che ritorni. E’ molto ridotta la differenza, rappresentata da sei voti dei senatori. Anche se Dilma difficilmente negozierà nei termini della compra-vendita dei voti, viene dal movimento rivoluzionario, ed è fedele al suo passato, ma allo stesso tempo sa che è necessario fare certe cose.
Ma non le piace.
Non le piace, è questo è il problema.
C’è l’impressione che il Brasile rinunci a un destino storico di leadership dopo l’ingresso nei BRICS.
Sono 200 anni di lotta per l’indipendenza dell’America Latina. I filo-ispanici e i filo-portoghesi hanno combattuto anni per conservarsi al potere quando ormai la Spagna e il Portogallo erano solo uno strumento dell’Inghilterra. Questi tipi credono ancora che la loro sopravvivenza come classe dominante dipenda da questa alleanza storica. E credono che gli Stati Uniti siano al di sopra di tutto e non sanno come comportarsi con la potenzialità che, ad esempio, esprime la Cina come protagonista mondiale. E ciò è grave perché i cinesi negoziano collettivamente, su grandi progetti e, pertanto, da stato a stato. Gli imprenditori contano ma come ausiliari della pianificazione statale. La nostra borghesia non crede a ciò. Questa gente è come l’anti-indipendenza dell’America Latina.
Come vede il futuro della regione? Perché la vittoria di Mauricio Macri ha sicuramente accelerato il golpe in Brasile e l’avanzata contro il Venezuela.
Sembra una fase molto favorevole per costoro. Ma qualora si presentasse una resistenza efficace dubito molto della loro capacità di controllare la situazione. Perché tutto ciò sta al di sopra di un mondo creato dai mezzi di comunicazione, dalla negazione della realtà, dalla creazione di situazioni psicologiche da parte di gente molto specializzata che sa trasmetterle bene alle masse. In realtà, l’idea di gestire il mondo come se il libero mercato sia la fonte della crescita economica, dello sviluppo, è una cosa assurda. Non si può mostrare nessun settore economico che non sia diretto dall’investimento statale e nessun processo di arricchimento che non passi per il trasferimento di risorse dello Stato. Il che ci conduce al falso problema, che anche la sinistra deve comprendere, che sia necessario tagliare spese per trasferire verso una minoranza che si trova fondamentalmente nel settore finanziario. In Brasile paghiamo esattamente il 40% in più della spesa pubblica per un debito creato esplicitamente per ragioni macroeconomiche.
Questo scenario implica che a un certo punto ci possano essere grandi sconvolgimenti? Ciò non comporterebbe situazioni simili a quelle del Medio Oriente?
Come caso estremo si, ma non credo che gli Stati Uniti lo vogliano perché il costo è molto elevato in un momento in cui stanno accumulando truppe per fare qualcosa che ha dell’incredibile, e lo dicono chiaramente: accerchiare la Cina. Nel Medio Oriente i risultati sono stati disastrosi. Può essere che la strategia sia quella del caos creativo. Se è così, ci sono già riusciti.
Be the first to comment on "Theotonio dos Santos: “Ciò che non è sotto il loro controllo, gli USA lo considerano una minaccia”"