Renzi da rottamatore a rallentatore: ecco perché rimanda referendum

Renzi da rottamatore a rallentatore: ecco perché rimanda referendum

Matteo Renzi è un personaggio costruito su alcuni fondamentali pilastri.

Possiamo riassumerli così.

1) Via la vecchia classe politica, ora arrivo io e cambio tutto

2) Basta le discussioni infinite della vecchia politica, la volta buona per cambiare è adesso, facciamolo in fretta

3) Cambiare, cambiare, cambiare

Con marcato manicheismo, Renzi racconta e contrappone due blocchi antitetici in lotta: il vecchio contro il nuovo, il No contro il Sì, il cambiamento contro la palude e così via.

Come si debbano cambiare le cose passa in secondo piano: l’importante è farlo e farlo velocemente.

Non basta neppure cambiarne una alla volta: gli annunci di cambiamento devono avvicendarsi simultaneamente, con una serie di promesse scaraventate in rapida successione, sempre più clamorose e irrealistiche.

Poi però la realtà arriva a bussare alla porta e l’ex sindaco di Firenze subisce un’improvvisa mutazione: da rottamatore diventa rallentatore.

Avrete forse già letto che il referendum di inizio ottobre diventerà probabilmente il referendum di fine novembre.

Perché Renzi non ha più fretta? Perché non vince il referendum il prima possibile e poi, con audacia arrembante, fa precipitare gli italiani alle urne per vincere le elezioni votando con l’Italicum?

La spiegazione è tremendamente banale: perché Matteo Renzi sa che perderà il referendum costituzionale.

E’ la realtà, bellezza: e tu non puoi farci niente. Quandi hai un partito con un elettorato del 30-35% (a essere largamente ottimisti), e fai lo sbruffone facendo diventare il referendum un “Renzi contro tutti”, significa che hai il 65-70% degli elettori contro, che hai perso il senso della realtà e che stai per esserne travolto.

Non è un caso se Napolitano chiede proprio a Renzi di cambiare l’Italicum, che la minoranza Dem propone il Bersanellum, che Schifani abbandoni Ncd per tornare in Forza Italia: sanno tutti che al referendum costituzionale vincerà il No e che quindi l’Italicum è la prima legge elettorale nata morta.

Matteo Renzi è un grosso bluff e quando si bluffa bisogna alzare continuamente la posta, fino ad arrivare a un all in che può fare la fortuna del bluffatore oppure può farne la rovina: l’ultimo rialzo è stato quello di mettere sul piatto la propria testa (politicamente parlando), il massimo della posta possibile.

Che sia ottobre, novembre o dicembre, il momento di vedere le carte arriverà inevitabilmente.

Arrivati a questo punto, l’ultimo disperato tentativo di Matteo Renzi è quello di prendersi un mese extra di tempo, sperando che l’occupazione della Rai, le trovate dell’espertone Jim Messina o qualche regalino elettorale infilato all’ultimo in legge di Stabilità, possano ribaltare inaspettatamente il risultato o, quantomeno, rendere la sconfitta numericamente meno bruciante.

I numeri però parlano chiaro: il Pd nel suo momento di massimo splendore ha raccattato 11.203.231 voti. Al referendum del 17 aprile sulle Trivelle, invece, 13.334.764 italiani hanno votato in una tornata elettorale in cui era scontato il non raggiungimento del quorum: è stato soprattutto un modo di contare gli antirenziani di ferro sparsi per la Penisola, anche nelle Regioni non direttamente interessate dal tema del quesito referendario.

Sappiamo che può sembrare un po’ un confronto fra mele e arance, ma i voti non spuntano dal nulla: Renzi al referendum costituzionale ha un’aspettativa di circa 10 milioni di croci sul Sì, il fronte del No di circa 15 milioni.

E dopo? Per quanto possibile, dopo Renzi aspettiamoci il peggio.

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