“Il mio mandato come Primo Ministro, pur breve, è stato un successo. Ho svolto le mie mansioni in maniera appropriata ed onorevolmente, votandovi cuore ed anima. Il fatto che sia rimasto in carica per un così effimero intervallo temporale è dovuto ad una necessità e non ad una mia unilaterale decisione.
Qualunque cosa succederà, continuerò la mia relazione con il Presidente della Repubblica cui sarò sempre grato […] ma non posso continuare ad essere il leader dell’AKP in assenza di consenso.”
Il discorso di congedo, emozionante e sommario dei 20 mesi spesi a capo del Governo, con il quale Ahmet Davutoğlu, Primo Ministro turco dall’agosto 2014, ha annunciato le sue dimissioni causa un terremoto politico. Il fronte governativo sembra aver perso la propria compattezza, proprio nel momento in cui le sfide di politica estera rendono imprescindibile unità di intenti.
L’AKP, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, islamista moderato ed ininterrottamente al potere dal 2002 terrà il prossimo 22 maggio un congresso straordinario per eleggere un nuovo Presidente e conseguentemente un nuovo Primo Ministro entro e non oltre il 6 giugno, data di inizio del Ramadan.
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