Non deve stupire il sostegno dei dem all’emendamento che punisce i Comuni anti-slot. Da D’Alema in poi, il centrosinistra ha sempre avuto un occhio di riguardo per le lobby del gioco. In principio furono le sale bingo. Ma solo ora Letta e Renzi gridano allo scandalo.
Continua a far discutere l’emendamento presentato dal Nuovo centrodestra per tagliare i fondi ai Comuni che hanno adottato regolamenti per limitare la diffusione di slot machine e videolotterie. Nonostante l’ammissione di colpa di Enrico Letta e la sfuriata di Matteo Renzi, decisamente contrariato di fronte al sostegno offerto dal Partito democratico all’operazione, non deve destare stupore il fatto che siano proprio i democrat a schierarsi al fianco delle lobby del gioco d’azzardo. In barba ai proclami per sconfiggere la ludopatia.
Non mancano, infatti, nel recente passato del centrosinistra intrecci piuttosto fitti tra esponenti del partito e rappresentanti delle suddette lobby. Basti pensare a Francesco Tolotti, ex diessino e deputato democratico dal 2001 al 2008, attuale presidente della Fondazione Unigioco, think tank per lo studio del gioco legale nato del 2009 dalla collaborazione tra la società Gamenet e Eurispes. «Nel corso della sua attività parlamentare», si legge nel sito di Unigioco, «ha avuto occasione di maturare una approfondita conoscenza del settore». Tolotti è stato, infatti, vicepresidente e componente della commissione Finanze della Camera, dove si decidono le regole del gioco e dei giochi.
Stando a quanto riferito da Matteo Iori, presidente del Conagga (Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo), l’attività di Tolotti fu «di particolare rilievo per l’industria del gioco, in quanto grazie all’impegno suo e degli onorevoli Nannicini e Vannucci (Ulivo), di Salerno (La Destra) e Gioacchino Alfano (Forza Italia), il 6 dicembre 2007 fu presentato e approvato un emendamento che modificò il comma sesto dell’articolo 110 del testo unico delle Leggi di pubblica sicurezza, quello che regola le slot machine». Un cambiamento che assicurava ai gestori di slot machine maggiori tutele di fronte a eventuali richieste di sequestro presentate dai magistrati sulle macchinette da gioco per vincite o perdite sospette.
Fu il centrosinistra, d’altro canto, il primo a intuire le opportunità del settore giochi. Il grande business ebbe inizio il 31 gennaio del 2000, quando nella Gazzetta ufficiale furono pubblicate le «Modalità per la partecipazione al pubblico incanto per l’affidamento in concessione della gestione del gioco del Bingo». Eredità del ministro delle Finanze Vincenzo Visco e del governo dell’ex leader dei Democratici di sinistra Massimo D’Alema. Lo Stato, già allora a caccia di denaro fresco per rimpinguare le casse dell’erario, aveva fiutato l’affare: per ogni sala bingo poteva incassare dai 70 ai 150 miliardi di profitti annuali.
Il piano del governo ne prevedeva l’apertura di 800 in due anni. Gli italiani si sarebbero giocati i loro risparmi a favore delle casse pubbliche. Tutti intuirono il business, gli amici degli ex Ds in primis. Tanto che, alla prima gara, le domande per aprire sale bingo furono 1.300. Dopo le sale bingo, poi, fu la volta dei gratta e vinci, delle slot machine del superenalotto. Ma la sensibilità del centrosinistra è sempre rimasta intatta. Semmai, è stata condivisa dai governi Berlusconi e dalle coalizioni di centrodestra, responsabili di ulteriori concessioni.
Non a caso la Sisal, che gestisce le scommesse sportive ed è la seconda società del mercato dei giochi, è in mano a un ex uomo dell’Ulivo che ha buoni rapporti con il Cavaliere: Augusto Fantozzi, già ministro del Commercio nel primo governo Prodi, poi commissario di Alitalia e infine, dal 2010, a capo della società dei giochi.
La Sisal, peraltro, come Lottomatica è uno degli sponsor di VeDrò, think tank del premier Enrico Letta.
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