Quello che Panebianco non sa (o non dice)

Angelo Panebianco sulla prima del Corriere di oggi, scrive: “La vicenda dell’Ilva è un disastro in sé e l’ennesima tappa di un processo di deindustrializzazione da tempo in atto nel Paese che sta lasciando dietro di sé macerie fumanti e povertà. […] Come ha osservato Dario Di Vico, e ribadito il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, stiamo liquidando, per la gioia dei concorrenti esteri, un intero comparto industriale, la siderurgia“.

 

Panebianco attribuisce la colpa di questo processo di deindustrializzazione all’esondazione del diritto penale (cioè sarebbe barbarico che chi sbaglia debba pagare e che la legge debba essere uguale per tutti) e alla sindrome anti-industriale dell’ecologismo che punta alla decrescita. Vede quindi il sintomo (l’Italia che scompare dalla hit parade dei paesi più industrializzati) ma, forse nel timore di librarsi abbastanza in alto da poter gettare uno sguardo al disegno complessivo, fa una diagnosi scorretta.

Il processo di deindustrializzazione della nostra economia fu una partita di scambio che la nostra politica si determinò a pagare per entrare nell’euro, non avendone i requisiti. Fu deciso da Kohl, che temeva la minaccia dell’economia italiana (alla fine degli anni ’70 l’Italia aveva superato l’Inghilterra, aveva quasi appaiato la Francia e stava puntando la Germania) e da Mitterrand, il quale impose la creazione di una moneta comune in cambio della riunificazione della Germania.

Questo il racconto che a byoblu.com fece uno dei testimoni della vicenda, Nino Galloni, dapprima in questo spezzone video e poi in una videointervista di approfondimento successiva, realizzata in crowdfunding.

Suggerisco ad Angelo Panebianco, e a tutti i nuovi lettori di questo blog, di ascoltare attentamente Galloni. Per tutti gli altri, un ripassino non guasta.

CLICCA E GUARDA IL VIDEO

 

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