Il walzer muto delle consultazioni

Credo fortemente nel rispetto delle istituzioni e anche nella necessaria, conseguente separazione tra ruoli e individui preposti a ricoprire quei ruoli stessi. Quando il signor Rossi viene investito di una carica istituzionale, se nel privato continua ad essere il signor Rossi, nel pubblico egli non è più tale, ma diviene il rappresentante di una funzione istituzionale. Partendo dal presupposto che nessuno Stato può esistere senza il riconoscimento delle istituzioni, ne consegue immediatamente che riconoscere il signor Rossi come bandiera, segnaposto di un valore più alto della sua a volte trascurabile persona è l’unico presupposto per continuare una convivenza civile basata sul rispetto di forma e metodi, ovvero sull’accettazione del principio di non prevaricazione e di condivisione delle decisioni, anche se sgradite. L’alternativa tanto per intenderci sono le clave, le rivolte (e non le “rivoluzioni“, che tendono a sostituire gli individui ma spesso a conservare i ruoli). Per questo è necessario “stringere la mano” anche a persone il cui operato non viene giudicato conforme alle proprie posizioni: si riconosce il ruolo, la legittimità della sua funzione istituzionale, non tanto la persona in sè e per sè. Se cade questo principio di civiltà, davvero si fa un passo indietro di qualche secolo.

Uno di questi ruoli, anzi il più importante, è quello del Capo dello Stato. E’ il garante della Costituzione ed è il motore di avviamento che permette, con la sua scintilla propulsiva e con la sua intermediazione, la formazione di un nuovo Governo o la determinazione di una nuova consultazione elettorale per formare una nuova rappresentanza parlamentare.
Le consultazionisono uno dei momenti istituzionali più importanti, attraverso i quali il Paese, mediante la rappresentazione delle forze politiche che ha eletto, concorre alla determinazione dell’indirizzo politico che verrà poi confermato dal voto di fiducia in aula. Alle consultazioni si discute di ciò che è desiderabile per il Governo a venire, facendo proposte e mediando su nomi e cariche. Per questo motivo, partecipare alle consultazioni significa innanzitutto ritenere che le proprie proposte abbiano la possibilità non solo teorica di essere accettate, altrimenti è evidente a tutti che la questione si trasforma in un mero esercizio di stile, una bella forma vuota di contenuti.

Cosa è successo la settimana scorsa? Il Parlamento si è riunito in seduta comune per votare il nuovo Presidente della Repubblica, un’operazione che storicamente ha richiesto, in media, una decina di tornate di voto, prima di coagulare un consenso sufficiente per mandare al Colle un nuovo inquilino. Eppure, in questo caso, dopo soli due giorni di voto, è riemerso l’incubo del “Fate Presto!”.

Una volta chiaro che tutti i candidati “sicuri”, ormai, erano stati bruciati, da Franco Marino a Romano Prodi, e che il nome di Stefano Rodotà viceversa continuava ad essere proposto con sempre maggiore forza dal Movimento Cinque Stelle, e anche dalle piazze, il Quirinale ha convocato le forze politiche per cercare una soluzione allo stallo. E si era solo alla quarta votazione! Tanto per capirsi, Oscar Luigi Scalfaro venne eletto il 25 maggio 1992 al sedicesimo scrutinio. Sandro Pertini – il mitico Sandro Pertini – divenne Presidente della Repubblica l’8 luglio 1978 sempre al sedicesimo scrutinio. E Giovanni Leone, il 24 dicembre 1971, venne eletto al ventitreesimo scrutinio! Ci vollero undici giorni, ma si attese. Quale insuperabile empasse avrebbe dunque spinto Giorgio Napolitano a convocare d’urgenza il Partito Democratico e il Popolo della Libertà al Colle per forzare la mano e chiudere la partita? E soprattutto – e questa è la cosa più grave – perché mai un Presidente della Repubblica, il ruolo super partes per eccellenza, non ha chiamato anche Vito Crimi e Roberta Lombardi, per ascoltare anche chi rappresenta un quarto dei voti del popolo italiano?

Cosa ha autorizzato Napolitano a consultare solo due partiti, che fuori dalle coalizioni rappresentano più o meno gli stessi voti di quelli di Grillo, decidendo a tavolino insieme a loro di riproporre la propria candidatura e addirittura concentrando in un unico colloquio anche le consultazioni, dato che da quell’incontro è uscito anche il probabile nome del prossimo Presidente del Consiglio? Cosa, se non la paura che dalla spaccatura del Pd arrivasse prima o poi il viatico per un settennato diretto da un nome al di fuori delle loro logiche di spartizione del potere? Cosa, se non l’impellente necessità di far fuori quell’unico movimento politico a cui le urne hanno attribuito la responsabilità di riportare gli interessi dei cittadini, e non dei poltronati, al centro dell’attività politica? Come al solito, questo è stato da subito più che evidente alle piazze, che sabato sera hanno accerchiato il Palazzo e costretto più di un politico ad uscire alla chetichella, tra lanci di monetine e di bottigliette di plastica, tributando applausi e riconoscimenti solo ai Cinque Stelle, ed è stato completamente disconosciuto, ignorato, volutamente distorto dalla narrazione dei media, che hanno rappresentato le ragioni di un’urgenza che semplicemente non c’era, senza denunciare l’ennesimo attentato al regolare percorso costituzionale delle istituzioni.

Per questo motivo, pur riconoscendo ai ruoli la dignità istituzionale che la Costituzione attribuisce loro, e pur consapevole dell’importantanza del rito delle consultazioni, mi chiedo cosa dovrebbero andare a fare i Cinque Stelle oggi al Quirinale, dopo essere stati due volte vittime della sua forzatura: una volta per lo scippo (ai danni di tutto il Paese) di un candidato forte ed onesto per la Presidenza della Repubblica, ed una volta per essere stati esclusi da qualsiasi consultazione circa la formazione di un nuovo Governo. Un Governo che nascerà sotto la stella dell’inciucio, sostenuto da forze che in campagna elettorale hanno portato avanti il consueto teatrino per mietere voti e che, noncuranti di sfoggiare un’incoerenza ai limiti dei vilipendio della sovranità popolare, dopo avere paralizzato il Parlamento congelando le commissioni per mesi, ora fanno fronte comune per portare avanti l’agenda Monti e non perdere il controllo della stanza dei bottoni.

Per questo, ritengo che il Movimento Cinque Stelle non dovrebbe partecipare al balletto ipocrita del giro di consultazioni, un giro di walzer muto, dove nessuna orchestra sta realmente suonando, che si terrà ad uso esclusivo dei media e della creduloneria popolana, ma dovrebbe prepararsi viceversa all’opposizione più dura che questo Paese abbia conosciuto negli ultimi decenni. Un’opposizione cui, badate bene, siamo talmente disabituati da considerarla quasi criminale, ma che è vitale per una democrazia quanto un contrappeso lo è per un’ascensore, ed è infatti non solo comune, ma anzi considerata auspicabile e necessaria nel resto del mondo, dove la democrazia non è solo un vocabolo di cui riempirsi la bocca nei talk-show ma una concreta, empirica prassi quotidiana, rispettata e tenuta nella giusta considerazione.

 

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