Mentre nel Palazzo si consumava la prima “chiama”, che sanciva la spaccatura del Partito Democratico su un nome, quello di Franco Marini, che non vuole nessuno (quasi neppure chi lo ha voluto), il Paese, il Movimento Cinque Stelle che lo ha proposto e buona parte del Partito Democratico stesso (oltre ai dissidenti che si annidano sia nel Pdl che in Scelta Civica) stava scegliendo Stefano Rodotà, oppure si chiedeva cosa avesse che non va bene.
E non è un modo di dire. A parte i pachidermi morenti che rendono l’aula di Montecitorio un ossario politico interessante ormai solo per i paleontologi, tutti gli altri assistono increduli a un’agghiacciante fiera del paradossale, dove una testa motrice ormai scollegata dal resto del convoglio-Paese si dirige, in una fuga cieca e solitaria, contro ai respingenti di fine corsa, alla fine di un binario morto. E tutti attendono lo schianto.
Non solo i Cinque Stelle, non solo i pezzi del Pd che insistono, inascoltati, nel perseguire un cambiamente reale, e neppure solo i collaboratori o il personale della Camera, che pure negli anni ne hanno viste di tutti i colori. A non trovare una spiegazione sono anche i giornalisti di tutte le testate e di tutte le televisioni, che affollano il transatlantico e il cortile all’interno del Palazzo. Che siano del Corriere o di Repubblica, che siano di qualche agenzia stampa o di un qualunque programma televisivo, li vedi: ti guardano, non se lo spiegano, restano basiti di fronte a qualcosa che non possono più giustificare. Neppure loro. Sanno benssimo che il Paese, là fuori, è un altro, che le associazioni di categoria insorgono, che l’Emilia è in fiamme, che quella stessa spina dorsale che costituisce il dna del centro-sinistra si sta sgretolando e non sostiene più la testa. Quella testa che molti vorrebbero che cadesse e rotolasse via lontano.
Crimi esce fuori, in piazza. Il Movimento Cinque Stelle se lo può permettere. Gli altri no. I fotografi e i giornalisti lo assaltano. Si siedono per terra, come si fa nei sit-int. Poi si rialzano. Ci sono più microfoni e obiettivi che sanpietrini per le vie di Roma. Mentre Crimi chiede a gran voce alla stampa perché Stefano Rodotà non possa essere votato, dai margini di piazza Montecitorio, dove si è radunata la folla, sale alto un coro che subito prende corpo e si trasforma in un boato da stadio: “Ro-do-tà! Ro-do-tà!”.
Il Paese ha deciso. Dentro fanno finta di non sapere. Fanno finta di non capire, di non sentire. Continuano a votare, insensibili a tutto se non ai loro giochi, ancorati a quell’unica speranza di salvezza che risponde al nome di “inciucio”. Un inciucio che tuttavia questa volta avrà esiti fatali, come un indissolubile, fatidico e definitivo abbraccio mortale.
Be the first to comment on "Il Paese ha deciso. Dentro al Palazzo fanno finta di non sapere. L’Italia vuole Rodotà!"