C’è chi lo comincia a capire appena adesso.
I più zucconi cominceranno a comprenderlo quando vedranno in televisione Fabrizio Cicchitto e Massimo D’Alema che annunciano di aver deciso di ritirarsi a vita privata per motivi di salute, o di famiglia, o di (è molto probabile) senso di “responsabilità”, forse la più abusata, mistificata e acciaccata parola italiana degli ultimi anni.
Dal canto nostro, noi, cittadini scandalizzati d’Europa, andiamo avanti con la nostra danza.
C’è la grande pattuglia dei sudditi che ha seguito e segue il Bunga Bunga (elettori di destra) e c’è invece la pattuglia di chi ha scelto il Bingo Bingo (elettori di sinistra clientelarmente alimentati, vedi Mps).
Mentre l’orchestra della Storia ha cambiato i musicisti, il ritmo, il sound e legge su un altro spartito invitando gli astanti a una nuova danza, c’è chi invece continua a muoversi roboticamente seguendo le uniche movenze a lui note.
Ne viene fuori uno spettacolo comico.
E’ un po’ come assistere a delle coppie che ballano il valzer mentre in pedana canta una scatenata Tina Turner.
Si assiste a una dissonanza estetica della percezione visiva che aumenta e ingigantisce il significato decuplicandone l’effetto, perché ne restituisce il Senso ultimo.
E’ sempre così quando la rappresentanza di un regime fatiscente annuncia la fine ingloriosa di un percorso storico. Oscillano tra il patetico e il ridicolo, finendo a fare gli equilibristi su quel sottile filo che divide la farsa dalla tragedia.
Era la stessa cosa nella gigantesca festa di capodanno (costata l’equivalente di oggi di 1 milione di euro) organizzata a L’Avana dal dittatore Batista il 31 dicembre del 1956, con 500 invitati selezionati, mentre la popolazione era alla fame e non c’era acqua corrente, con le truppe castriste che si avvicinavano ogni giorni di più alla capitale.
Loro ballavano la rumba e il mambo mentre in città si scannavano per un piatto di fagioli.
Ma alle ventidue e trenta arrivò –per loro fu una sorpresa- la notizia che Fidel Castro aveva espugnato il quartier generale del comando militare della capitale e gli oligarchi scapparono via urlando a caccia di un aereo che li portasse in salvo da qualche parte. Le porte del salone delle feste del palazzo di governo si spalancarono e centinaia di persone vestite da sera, ingioiellate e sbronze, in preda a una isteria collettiva, si riversarono per strada in cerca di fuga.
Quando crolla un sistema socio-politico, chi l’ha retto ed esercitato fino a quel momento si aggrappa con tutte le proprie forze a ciò che può (e soprattutto a chi può) per fermare il processo, per impedire il cambiamento, per evitare il cambio di passo.
Non si accorgono del cambiamento. Non sono in grado di leggere la realtà.
Ascoltare Pierluigi Bersani, oggi 6 marzo 2013, bofonchiare qualcosa relativo a una lista di riforme sulla quale intende legiferare, invece che avere il valore di una proposta di programma politico suona piuttosto come una nota discordante di un orchestrale stralunato che è finito fuori sincrono.
C’è stato un precedente in Europa, circa trecento anni fa, quando in Francia venne fondato il concetto unificante di citoyen e dai castelli si passò alle assemblee.
La maggior parte delle persone (con l’eccezione, si intende, degli storici e di chi ha studiato quel periodo) ha un’idea –ed è comprensibile- alquanto hollywoodiana di quegli eventi. La gente immagina che c’era un monarca che decideva tutto lui, poi un bel giorno è arrivato il popolo con i forconi, gli hanno mozzato la testa ed è cambiata la musica.
Invece tutto è passato attraverso il vaglio di una complessa, elaborata e lenta trasformazione, il cui primo passo fu il pensionamento del concetto di rappresentanza.
Nel 1789, in Francia, vigeva uno Stato basato sul concetto di sovranità assoluta individuale, in cui il Re sintetizzava e incarnava il punto d’incontro tra Dio e la Nazione. Ma esistevano delle forme assembleari di gestione e discussione e confronto tra i diversi ceti produttivi e rappresentativi della nazione che avevano trovato la propria forma in una costituzione che prevedeva tre grandi accorpamenti, deputati alle decisioni finali. C’era il gruppo che rappresentava l’aristocrazia formato dai 12 consiglieri che rappresentavano le famiglie aristocratiche più ricche e potenti che facevano parte dell’entourage di corte, poi c’era il clero che rappresentava tutti gli ordini religiosi, formato da 12 vescovi e infine c’era il cosiddetto Terzo Stato che rappresentava tutte le corporazioni professionali produttive della nazione, dall’ordine dei medici a quello dei fornai, dai notai agli insegnanti, dai mercanti di tessuti agli agricoltori.
Tutti insieme rappresentavano la nazione, prendevano decisioni a maggioranza relativa e poi le comunicavano al Re per la firma. Il punto è che per quanto riguardava il voto, ciascuno di questi “tre stati” aveva diritto a un solo e unico voto: c’era l’aristocrazia che rappresentava interessi di circa il 5% della popolazione, c’era il clero che rappresentava gli interessi economici del vaticano e poi c’era il terzo stato che rappresentava le esigenze del 95% della popolazione e i bisogni del 100% dei produttori reali di beni.
Ogni decisione comportava l’uso di tre voti. Neanche a dirlo, sia l’aristocrazia che il clero votavano sempre insieme essendo compatti, obbligando il Terzo Stato a produrre un unico voto. La sproporzione era macroscopica, soprattutto per il fatto che l’aristocrazia aumentava anno dopo anno le tasse al ceto produttivo in cambio di esenzione da ogni tassa ai beni della Chiesa che le garantiva il voto sicuro. In presenza di una fortissima crisi economica dovuta a scelte finanziarie sbagliate, questo meccanismo produsse un aumento della vessazione delle gabelle talmente forte da comprimere e contrarre il mercato interno impedendone l’espressione.
La rivoluzione francese del 1789 non nacque con il popolo in piazza e i forconi in mano, quello è il momento finale. Nasce con la modificazione di un principio giuridico: l’abbattimento del concetto di rappresentanza delle caste oligarchiche e la fondazione del concetto di “cittadino”, che poi troverà il proprio riferimento assembleare nel gruppo cosiddetto dei “giacobini”.
Fino al 1789 “l’idea di cittadino” non esisteva in Europa dove lo status ruotava intorno all’aristocrazia.
Iniziò allora.
Ma in Italia non fece mai presa. Tant’è vero che l’italiano è l’unica lingua europea che usa il termine “ignobile” per indicare qualcosa o qualcuno di orribile, di malvagio, di disonesto, ovverossia: “tutto ciò che non appartiene alla nobiltà”.
E in una cultura, in un popolo, il linguaggio è sempre specchio subliminale di chi gestisce il potere esecutivo.
Tutto ciò per spiegare la violenza che stiamo vedendo usare, con tutte le armi mediatiche a disposizione, per delegittimare l’esistenza degli “ignobili”: 163 individui nessuno dei quali presenta se stesso come rappresentante esclusivo di un certo ceto, di un certo ordine professionale specificato, di una certa lobby, bensì si auto-definiscono “dipendenti” da chi li ha votati, ovverossia “impiegati del servizio pubblico su delega a nome della cittadinanza”.
Per gli attuali partiti italiani, questo vuol dire essere “ignobili”, ovverossia non appartenere a quella nobiltà aristocratica che ha consentito negli ultimi 30 anni a PD PDL Lega Nord Udc (e tutti gli altri) di interpretare la “cosa pubblica” e la”funzione pubblica della propria mansione d’esercizio” come se si trattasse di un fatto privato, cioè Cosa Nostra.
Si tratta di una estensione di un principio aristocratico che ha costruito in Italia l’esercizio di un privilegio oligarchico (la cosiddetta “casta”) garantito dai partiti politici, gli unici in grado di trasformare “il suddito” in un “nobile”.
La fondazione del concetto di cittadinanza, invece, che nasce con il M5s è basta sulla abolizione dell’esistenza degli ignobili, perché viene abolita la nobiltà.
Adesso vi dico come vedo io la cosa.
Nel M5s esistono soltanto tre categorie di persone: gli attivisti, i dipendenti, i cittadini.
E basta.
Gli attivisti sono coloro che svolgono una mansione tecnica: gestiscono i tavoli per la raccolta firma, affittano la sala riunioni, compiono azioni di volantinaggio, gestiscono la diretta streaming, alle riunioni sono quelli seduti al tavolo che seguono al computer, quelli che vanno in questura a chiedere il permesso per avere una piazza, ecc. Le mansioni sono davvero tantissime e diversissime. Il membro più importante tra gli attivisti è Gianroberto Casaleggio, dato che la sua mansione è fondamentale per il movimento in quanto gestisce la parte tecnologica d’esercizio.
Poi ci sono i “dipendenti” che sono gli eletti al parlamento, deputati o senatori che siano. Sono persone che esercitano una funzione al servizio della collettività e non perseguono il profitto individuale privato o quello di parenti e affini.
Infine ci sono “i cittadini del M5s” che sono i votanti passivi, gli aderenti attivi, i simpatizzanti, tutti gli elettori.
Non esistono “militanti” così come non esistono “rappresentanti” se non quelli d’obbligo per Legge, come ad esempio il capogruppo alla Camera e quello al Senato.
Le parole sono importanti, il significato delle parole è importante.
Cominciamo dalle definizioni.
I love dancing
Be the first to comment on "Cominciamo a definire il ruolo della cittadinanza. La sudditanza la si abbatte prima con le parole."