Libero Grassi (Catania, 19 luglio 1924 – Palermo, 29 agosto 1991)

Quando Libero Grassi si presentò alla trasmissione di Milchele Santoro su Rai 3, era il 1991.

I tempi erano già cambiati.

Io mi apprestavo ad andare alle superiori e mia madre mi ammonì dicendo: “Stai attento Giorgio, alle superiori la politica incomincerà a sgomitare per averti da un lato o da un altro. Non farti infinocchiare”. Mio padre, il padre che non ho mai avuto, a suo tempo si buttò convinto a destra. Io dalla parte opposta. Diametralmente opposta. Capelli lunghi ed eskimo neanche avessi avuto la saggezza di Guccini. Di mio padre lo venni a sapere molti anni dopo, recentemente, “Guarda che tuo padre era di destra” mi hanno detto come fosse cosa da poco – invece è stato un proverbiale carico da novanta al colpo di genio di lasciarmi solo a cinque anni.

Bravo papà: Caparezza ti dedicherebbe Jodellavitanonhocapitouncazzo.
C’è un anno alfa dell’antiracket. E’ proprio il 1991, l’anno in cui Libero Grassi, un industriale palermitano dall’aria calma e bonaria, si dissociò dalla normalità dei comportamenti dell’imprenditoria palermitana, sfidando il suo estortore con una lettera aperta: “Non ti pago”, scrisse. Evidentemente non deve essere stata una coincidenza se Libero Grassi si chiamasse proprio così, Libero. Del resto veniva da una famiglia antifascista dove aveva sempre avuto fortissimo il senso della libertà e dell’onore, quello semplice della gente perbene. “Non mi piace pagare, perché è una rinuncia alla mia dignità”, amava dire. No, non era un caso che si chiamasse Libero. In quel 1991 prese corpo così il primo movimento organizzato contro il pizzo. In un’altra Sicilia, a Capo d’Orlando, i commercianti e gli imprenditori orlandini si ribellarono. Al processo questi sconosciuti siciliani segnarono a dito e facero condannare i mafiosi. Si riunirono nella prima organizzazione antiracket, l’ACIO, creata da Tano Grasso, uno di quei commercianti, che diventerà poi commissario nazionale antiracket. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità -citando- e infatti verrà cacciato da Silvio Berlusconi.
La condanna a morte di Grassi da parte della mafia arrivò nell’estate del 1991, il 29 di agosto, nel giorno di San Giovanni. Proprio dopo l’apparizione televisiva a Samarcanda di Michele Santoro nell’aprile dello stesso anno.


Io quell’estate stavo allegramente cazzarando su sottofondo di Got The Time degli Anthrax. Totalmente imbambolato da tale Sabrina di Acilia, una “zecca” di quindici anni che di politica e mafia ne sapeva allora quanto io oggi so del fisico quantistico Erwin Schrödinger. Nella vana speranza che mi notasse, o che mi lanciasse un improbabile segnale che volesse dire “Limoniamo?”, dei perché e i percome della morte di di Libero Grassi non me ne curai affatto. Come del resto poco mi curavo della lotta andata avanti per lungo tempo, guidata da singole persone come Libero Grassi, che spesso lavoravano con mezzi inadeguati, senza auto blindate o le scorte che Saviano ha oggi dopo aver scritto un Best Seller. Ma mentre di Saviano si parla oramai pure troppo e in contesti spesso inoppoertuni, di questi eroi porzione singola non si parla quasi mai. Spesso solo se un regista decide di dedicargli un film (I Cento Passi su Peppino Impastato), ma neanche è detto che succeda (Fortapasc su Giancarlo Siani).
Per questo oggi, ricordandomi dell’anniversario grazie a un trafiletto apparso su un quotidiano, davanti al silenzio globale mi sono sentito una merda. Andando a cercare il volto calmo e bonario di Libero grassi, mi sono imbattuto in questa foto. Così è morto Libero Grassi. Non è una bella immagine, lo so, ma forse è il caso di rovinarvela una giornata in un’intera estate.

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«Questa [Palermo] è una città che non merita bambini» (La figlia di Libero Grassi al funerale del padre)

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