Alla faccia del «popolo sovrano»

Capita spesso, nella dinamica società in cui viviamo, di assistere a degli spettacoli, nei quali, di volta in volta, possiamo essere spettatori o protagonisti. È noto che un certo tipo di spettacolo, politico, soprattutto, legato allo spirito dell’inciucio, tende più a soddisfare le esigenze delle cricche che le necessità del Popolo. Ripetutamente, nel corso delle legislature, esso si è presentato come strumento di gozzovigliamento per gruppi privilegiati: i partiti.

Lo spettacolo, quindi, si è chiuso nelle corti, o segreterie signorili dei partiti proponendo argomenti e affrontando problemi di esclusivo interesse dei detentori del potere politico ed economico. Re con la corona ne sono rimasti pochi, ma re senza corona, ben più potenti degli antichi e pittoreschi sovrani, ne conosciamo tutti, e sono innumerevoli gli imbecilli d’Italia che girotondeggiando nel corridoio dei passi perduti, si sono ingrassati spergiurando sull’esercizio delle loro funzioni senza vincolo di mandato.

I gradi delle loro responsabilità sono differenti, ma continuano a macchiare la loro biografia con insufficiente ed artificioso riconoscimento. «La nomina di Monti -ha spiegato il cameriere del nuovo ordine mondiale Giorgio Napolitano- non è stato uno strappo istituzionale e non mi risulta il tradimento della volontà popolare». Che cosa debba intendersi per «popolo sovrano», non è dato sapersi. Nel BelPaese, la sovranità popolare è una clausola generale di emancipazione politica. E da questo siffatto sistema emerge un complesso e articolato disegno di democrazia politica, che in parte riproduce, ma in larga parte supera, gli schemi classici della democrazia rappresentativa borghese: il «popolo» sovrano è anche, ma non è solo, il corpo elettorale; «le forme» di espressione della sovranità popolare sono anche, ma non sono solo, quelle della elezione dei membri del parlamento.

Uno spettacolo di dubbio gusto in cui le grandi manovre sono imposte da avidi banksters attraverso proposte operative che i governi, tramite istituzioni parimenti occulte, si badano bene dal respingere con l’obiettivo strategico di giungere alla realizzazione di un progetto che prevede la instaurazione di un unico governo depositario del potere economico, politico e culturale che ci ha portato al disastro attuale: abolizione delle pensioni di anzianità, liberalizzazioni, blitz fiscali, lavoratori condannati a lavorare in eterno, giovani senza più speranza di un futuro migliore. Mutazioni profonde, talvolta sorprendenti per rapidità e disinvoltura, ma pur sempre avvenute all’italiana: in modo furbesco, confuso, e sotto la frusta di Berlino, Bruxelles e Francoforte.

Negli ultimi venti anni l’accelerazione del processo europeo ha riconfigurato e trasformato tutte le forze politiche. I mandanti all’interno del governo senza più sovranità nazionale sono personaggi già appartenuti all’establishment bancario e finanziario del quale recepiscono genuflessi gli ordini. Dalle grandi banche e dai gruppi della borghesia industriale del Nord, ai vescovi, ovvero i grandi elettori dell’attuale esecutivo. Il calcolo di questa porcilaia politica è quindi una grande coalizione, guidata da un ex commissario europeo, composta da partiti, oggi semidelegittimati nell’opinione pubblica, che possa meglio gestire i propri interessi, e le tensioni sociali derivanti da una ristrutturazione condotta a colpi di scure tedesca.

Ma molti elettori di questi partiti di plastica hanno capito di essere stati traditi e si comporteranno di conseguenza. La differenza tra il mondo delle fiabe e il nostro è che in quel mondo non avvenivano rivoluzioni.

 

Tratto da ilgraffionews

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