Camila Vallejo: subcomandante, pasionaria e studentessa
Siamo andati a vedere come la Rete racconta la storia di questa giovane donna cilena diventata, da anonima studentessa di Geografia, una star della comunicazione catapultata in pochi mesi sulle prime pagine dei giornali e sui siti di tutto il mondo.
La protesta degli studenti in Cile dura ormai da più di cinque mesi e non sembra esserci una facile via di uscita, né sembra ormai possibile un movimento studentesco senza la presenza della sua carismatica leader, Camila Vallejo Dowling.
Siamo quindi andati a vedere come la Rete dipinge questa giovane donna diventata, da anonima studentessa di Geografia, una star della comunicazione catapultata in pochi mesi sulle prime pagine dei giornali e sulle copertine patinate di tutto il mondo.
E se è vero che predominano quadri e pareri positivi quando non entusiasti, occorre notare che quasi in ogni articolo su Camila Vallejo Dowlingsi leggono commenti sul suo aspetto fisico, anche solo per affermare che esso non conta e tutto ciò sembra un classico esempio di quanto lavoro ci sia ancora da fare sulla questione di genere.
Chi è Camila Vallejo Dowling? Una delle poche biografie che non cita nemmeno in una riga dati fisici inerenti l’avvenenza di questa nuova protagonista della politica cilena è quella di Wikipedia, che andiamo a riprendere organizzandola in ordine cronologico:
Camila Antonia Amaranta Vallejo Dowling (Santiago del Cile, 28 aprile 1988) è una studentessa e attivista cilena. Militante della Juventudes Comunistas de Chile, ala giovanile del Partito comunista cileno, Camila Vallejo ricopre attualmente la presidenza della Federación de Estudiantes de la Universidad de Chile (FECh) ed è la seconda donna chiamata a occupare questa posizione, nei primi 105 anni di vita dell’organizzazione, dopo Marisol Prado, che ne detenne la presidenza dal 1997 al 1998.
Figlia di Reinaldo Vallejo e Mariela Dowling, piccoli imprenditori, loro stessi ex militanti del Partido Comunista de Chile negli anni ’70, Camila Vallejo ha vissuto la sua infanzia nella Provincia di Santiago, tra i comuni di Macul e La Florida e ha studiato nel Colegio Raimapu, un istituto scolastico privato nel comune di La Florida.[
Nel 2006, Camila Vallejo si è iscritta all’Università del Cile per studiare geografia presso la Facoltà di Architettura e Urbanistica. Entrata in contatto con circoli studenteschi di sinistra, ha cominciato a impegnarsi attivamente in politica, entrando, l’anno seguente, come militante della Juventudes Comunistas de Chile. È stata consigliera della FECh nel 2008 e vice-presidente del Centro de Estudiantes de Geografía, organismo alla cui fondazione ella stessa aveva partecipato.
Nel novembre 2010 è stata eletta presidente della FECh, in rappresentanza della lista E del Colectivo Estudiantes de Izquierda, che faceva riferimento alla Juventudes Comunistas, alla Nueva Izquierda Universitaria e a liste indipendenti; ha ricevuto 2.918 voti, lasciando il secondo posto alla lista che raggruppava Izquierda Autónoma, Izquierda Construye, Colectivo Arrebol e altri indipendenti, che ha raccolto 2.839 preferenze.
La figura giusta, al posto giusto al momento giusto, verrebbe da dire: da sempre cresciuta in un clima di confronto politico, la Valejo diventa presidente del FECh pochi mesi prima che si inneschi il punto di non ritorno nella dialettica fra potere universitario-statale e potere studentesco.
Sono parecchie le date che si potremmo eleggere a simbolo dell’innesco della lotta e, forse, la più rappresentativa non riguarda direttamente il mondo dell’educazione. Torniamo indietro al 9 maggio 2011 quando scendono in piazza più di 30.000 ambientalisti per protestare contro la possibile costruzione di cinque dighe all’interno di un progetto a copartecipazione iberica-cilena da parte di HidroAysén.
Si tratta della classica scintilla che scatena una cascata di proteste: pochi giorni dopo gli studenti si schierano contro il Presidente Sebastián Piñera e il suo sistema educativo statale.
I motivi di questa protesta? Ce li spiega Fusi Orari:
Il sistema della pubblica istruzione in Cile presenta profonde contraddizioni. Il livello di scolarizzazione del Paese, secondo l’ultimo rapporto OCSE del 2011, è il più alto di tutto il Sud America. Questo dato non deve però trarre in inganno poiché la qualità dell’istruzione pubblica in Cile resta molto bassa e, riporta l’Economist, su 65 paesi analizzati, il Cile è il secondo al mondo con la disparità maggiore tra educazione privata e pubblica. La prima, di buon livello, è per i ricchi, la seconda, di gran lunga inferiore, solo per i poveri. L’anomalia di fondo sta nel fatto che le scuole cilene finanziate dallo Stato sono molto care, seconde solo ai prestigiosi atenei degli Stati Uniti. Le rette delle Università pubbliche inoltre sono quasi identiche a quelle degli istituti privati nazionali, i quali forniscono un servizio educativo migliore. L’organizzazione data da Pinochet, tutt’ora vigente, prevede un’istruzione municipalizzata: non è quindi lo Stato a doversi occupare dell’educazione ma i municipi, assimilabili ai nostri comuni. Questi però coprono solo il 25% della spesa scolastica, il resto deve essere versato dalla famiglia dello studente. Pur di mantenere i propri figli negli studi quindi, ogni famiglia cilena è disposta ad indebitarsi, accendendo mutui onerosissimi che ogni laureato si ritrova a dover pagare per i successivi 15/20 anni, non appena terminati gli studi. Per queste ragioni, molti studenti cileni sono costretti ad abbandonare anzitempo la carriera universitaria, impossibilitati a far fronte alle spese.
Una prima protesta c’era già stata nel 2006, contro il governo socialista dell’epoca, a dimostrazione del fatto che questi giovani non si sentono minimamente rappresentati né dall’attuale maggioranza di centro-destra, né tanto meno dall’opposizione. I giornali cileni, cinque anni fa, chiamavano quelle contestazioni “la protesta pinguina”, e “pinguini” erano i manifestanti, per via delle uniformi che gli studenti medi cileni indossano nelle scuole. Ma oggi i ribelli nelle piazze, di gran lunga più numerosi di prima, chiedono con forza la cancellazione dei buoni scolastici nella scuola d’infanzia, in quella primaria e in quella secondaria e la fine della municipalizzazione dell’istruzione mediante un piano di prestiti garantiti dallo Stato che permetta a banche private di finanziare le alte rette universitarie. I giovani pretendono di fatto un sistema educativo autenticamente pubblico, sia nella gestione che nel finanziamento, il quale consenta il pieno esercizio del diritto allo studio anche per le famiglie più disagiate.
Questa situazione esaspera gli animi e scatena proteste e scontri: già il 12 maggio gli studenti in piazza sono 15mila e il 1° giugno, a Santiago del Cile, in occasione di uno sciopero generale, la cifra sale a 20mila, contando anche professori e lavoratori. Si tratta di una escalation rapidissima che coglie di sorpresa il governo: nel giro di due settimane, sempre nella capitale, viene prima occupata la sede del Partito Democratico Cristiano e quindi si riversano in 100mila per le strade, numero che si quadruplica poco tempo dopo, il 30 giugno, quando vengono occupate le sedi del Partito Socialista e dell’Unione Democratica Indipendente, partito di governo.
Sono numeri in grado di mettere in difficoltà qualsiasi esecutivo e, infatti, il 5 giugno il Presidente, per tentare di calmare le acque, annuncia una riforma. Qual è la proposta? Il progetto Gane, così come illustrato sempre da Fusi Orari:
Il Presidente cileno nel suo discorso televisivo afferma di voler venire incontro alle richieste degli studenti. Il progetto del Premier è denominato GANE (Grande Accordo Nazionale per l’Educazione) e prevede un costo di 4 miliardi di dollari. Il programma sarà finanziato dal FEES (Fondo de Estabilización Económica y Social) e dal Fondo por L’Educaciòn, i cui dividendi e interessi saranno impiegati per finanziare l’educazione pubblica. Piñera annuncia anche un nuovo quadro giuridico che permetterà a chi opera nell’educazione superiore di impegnarsi in attività di lucro, cercando di soddisfare le esigenze del mondo dell’Università. Il Primo Ministro però, nel suo discorso, respinge il controllo statale del sistema dell’istruzione arrivando a definire, circa venti giorni dopo, il concetto di “educazione” come un “bene di consumo” e parlando del “profitto” come “compenso per il lavoro duro (nel settore educativo)”.
Risposta, questa del governo, che invece di calmare gli animi finisce per alzare il tono del confronto e Camila Vallejo Dowling s’inserisce alla perfezione in questo quadro, ideando insieme ai suoi collaboratori una serie infinita di stratagemmi e metodi di lotta, una “guerriglia” che pesca in tutte le trovate moderne tipiche di altri campi, dal flash mob agli spettacoli teatrali, dalle maratone e l’uso strategico dei social network.
Alcuni esempi di come si evolve la situazione e di come Camila organizza la protesta ci vengono riportati da Linkiesta:
Tanto hanno fatto che qualche giorno fa il Ministro de Educación, Joaquín Lavín, è stato spostato a un altro dicastero, e nel frattempo l’appoggio agli studenti da parte della gente è salito all’81 per cento, e dire che i cileni del dopo dittatura sono piuttosto restii alle proteste. Ma era difficile resistere all’appeal delle marce di questi indignados, un vero sfoggio di creatività e ironia. Più che marce, sembrano carnevali. Tremila ragazzi si sono esibiti per esempio nel balletto Thriller di Michael Jackson davanti al Palazzo della Moneda, per rappresentare il loro stato di esclusi nella società cilena. Decine di studenti hanno corso per 1.800 ore intorno al Palazzo del Governo, con una bandiera nera con su scritto Educación gratuita ahora, e alcune migliaia di coppie si sono baciate, in perfetta sincronia, per simboleggiare la passione con cui combattono per questa causa.
Per le strade sfilano carri allegorici e negli atenei occupati si organizzano maratone teatrali e spettacoli. Oltre che alla testa delle manifestazioni, con i capelli al vento e il suo megafono, Camila è sempre su tutti i media più autorevoli. Le chiedono della sua lotta e, qualche volta, della sua bellezza. Su quest’ultima glissa con fastidio. «Non ho scelto io il mio aspetto fisico, mentre ho scelto le ragioni della mia protesta». Il suo discorso ruota intorno al fatto che il Cile è un Paese ricco (gli indicatori macroeconomici segnalano la situazione più favorevole nella storia recente del Paese) e che l’istruzione è utile per l’intera comunità e dunque va finanziata con un aumento progressivo delle imposte, per esempio di quelle sull’estrazione del rame che rappresenta l’industria più importante del Cile.
Invitata al programma Tolerancia Cero dell’emittente Chilevision, l’hanno incalzata tre vecchie volpi della politica e della stampa. Lei aveva il solito piercing al naso e sembrava ancora più ragazzina ma si è difesa con freddezza e vigore. Citava dati e numeri e argomentava con la perizia di una veterana. Qualche ora dopo, lo streaming del video era inondato da dichiarazioni d’amore.«Compañera Camila», diceva uno. «Sei tanto intelligente. Ma dovresti essere un po’ meno bella perché a questo modo capita che uno si distrae e non ascolta». Niente di nuovo. La sua pagina fb ha più di 20.000 fans e i gruppi dedicati a lei sono decine. Spicca su tutti Yo tambien amo a Camila Vallejo. I post arrivano da tutta l’America Latina e oscillano tra la solidarietà politica e la devozione incondizionata.
Non solo l’America Latina ma l’intera Rete pullula di approvazione che alle volte sconfina nell’adorazione, con sfilze di commenti positivi e post che esaltano la figura di questa giovane condottiera. Ma, esaurite le belle ma anche facili retoriche del momento, quali sono le proposte e il pensiero di Camila Vallejo Dowling?
A tal fine può essere più utile di molti articoli leggere qualche intervista alla studentessa, e questa di Marx21, che vi riportiamo per intero, ci sembra essere una delle miglior per capire meglio la persona e i suoi obbiettivi:
“Lo Stato deve assumersi la responsabilità di garantire il diritto all’istruzione, fornendo e finanziando un’istruzione gratuita e di qualità, regolando al tempo stesso l’istruzione privata senza che possano prevalere gli interessi lucrativi “, dice la leader studentesca in Cile. “Solo in questo modo è possibile rafforzare l’istruzione pubblica e in tal modo lo sviluppo umano, lo sviluppo sociale ed economico. E’ decisamente positivo il fatto che le nostre proteste stiano ricevendo il sostegno della maggioranza della popolazione “.
Forse è per questo che il 68% dei cileni disapprova la gestione del presidente, Sebastián Piñera? Le risposte del Governo alle vostre richieste sono state così inconsistenti?
L’attuale governo di destra non ha alcuna volontà politica di rispondere alle esigenze della cittadinanza. Ha dimostrato di essere intransigente ed ha imposto la sua linea ideologica sulla maggior parte del paese. Questo è grave perché significa che governa soltanto a favore di pochi, per coloro che oggi si arricchiscono con il sistema educativo e non vogliono capire che se non viene cambiata la sua struttura dalla base, siamo nel mezzo di una crisi difficile da risolvere. D’altra parte, la crescente mobilitazione sociale ha mostrato quello che il governo voleva evitare, rendere chiara la sua vera indole repressiva; da qui la percezione generale è che non è stato all’altezza della situazione e la cittadinanza non vuole un governo così.
Lei ha detto che i media promuovono il disprezzo nei confronti dei movimenti sociali. Anche con il movimento studentesco accade questo?
Il 98% dei giornali appartengono a due grandi gruppi che hanno praticamente la stessa linea editoriale, molto vicina ai settori conservatori, pertanto sono uno dei principali ostacoli alla ricerca del sostegno pubblico. I giornali, decontestualizzando le dichiarazioni degli studenti, spesso disinformano, manipolano le nostre richieste o semplicemente censurano importanti eventi sociali. I canali televisivi non sono molto diversi. Hanno l’abitudine di dare messaggi tendenziosi e frammentati, senza compiere il loro dovere di diffondere un’informazione obiettiva e pluralista. Infatti, in molti casi, quando i notiziari parlano di educazione o del movimento studentesco, mostrano immagini di incappucciati o di qualche danno materiale, promuovendo una falsa immagine del nostro movimento.
Fino a che punto le istanze degli studenti possono identificarsi con i punti per il cambiamento sociale sollevate da Salvador Allende, nel suo discorso all’Università di Guadalajara in Messico?
E’ di impatto sapere che il Cile ha avuto un presidente che rappresentava veramente il senso di quello che oggi continuiamo ad esigere. Probabilmente, se il colpo di Stato non si fosse perpetrato, oggi il nostro sistema educativo sarebbe stato molto diverso. In quel discorso ci sono idee molto importanti, che ci riguardano come studenti universitari e come futuri professionisti e che mette in evidenza anche qualcosa di cui a volte ci dimentichiamo: la rivoluzione non passa unicamente dall’università. Quella frase si riferisce al fatto che i profondi cambiamenti sono possibili solo se l’intero paese, i suoi lavoratori, casalinghe, pensionati, tutti insieme agli studenti, diventano gli attori sociali. Per il raggiungimento di questo obiettivo oggi molte organizzazioni sociali stanno lavorando, cercando di recuperare il tessuto sociale perso con la dittatura.
Cosa pensa in merito al pensiero dello scrittore Vargas Llosa, decorato lo scorso anno da Piñera con l’Ordine al merito docente e culturale Gabriela Mistral, secondo cui il Cile è un modello come sistema politico ed economico?
Questa è l’immagine del Cile che alcuni pretendono esportare, ignorando che praticamente l’80% della popolazione vive indebitata o che il 60% del paese vive con meno di 165.000 pesos mensili pro capite [180 Euro], quando ci sono tasse universitarie di oltre il doppio di questa cifra. Ignorano che il salario minimo è solo 182.000 pesos [200 Euro] e che soltanto per il trasporto una sola persona spende in un mese oltre il 20% di tale reddito. Non so per quale persona possa risultare un modello un sistema che pretende di eliminare l’esclusione sociale costruendo più carceri e chiudendo scuole pubbliche.
Che cosa significa essere comunisti oggi e quali lezioni ha imparato dall’educazione familiare ricevuta? Lo crede possibile un socialismo democratico in Cile e in America Latina?
Nel nostro paese, dove ha prevalso un senso comune fondamentalmente neoliberista imposto dai tempi della dittatura, i valori della sinistra (la solidarietà, la fratellanza e la giustizia sociale) rappresentano ciò che è sopravvissuto a quei 17 anni di oscurantismo. Credo che un progetto politico di sinistra non solo è attuale, ma è necessario per superare le profonde disuguaglianze che affliggono il nostro paese, risultato del nostro sistema economico fallito. Per questo ammiro quei paesi che hanno avuto il coraggio di compiere passi in quella direzione.
Non mancano, ovviamente, critiche più o meno dirette e spiace constatare che, come gli elogi, molte di esse si concentrano, in parte, sull’aspetto fisico della persona. Uno dei titoli più sgradevoli lo pubblica il sito de Il Foglio che, pur riportando alcune annotazioni interessanti, sceglie un Due o tre idee per salvare la gnocca Camila dai cileni che fanno oooohhh che non è certo il massimo dello stile.
Sembra proprio che, nel bene o nel male, non si riesca mai a uscire da questo frame e si assiste impotenti alla sfilata di “splendida”, “stupendi occhi”, “bellissima”, “affascinante piercing al naso” e così via che condiscono quasi ogni discorso che coinvolge Camila Vallejo Dowling.
Meglio quindi chiudere con una voce fuori dal coro che segnala con puntualità e precisione questa deriva. Si tratta di Tre.No che, fra le altre cose, afferma:
“Ma dovresti essere un po’ meno bella perché a questo modo capita che uno si distrae e non ascolta”. Davvero gliel’hanno detto? Ma davvero non possiamo guardare a questa ragazza, poco più giovane di me, e stupirci per la sua capacità di parlare in pubblico, di sostenere la folla di studenti disorientati, di rispondere attenta, alle interviste dei giornalisti, a spiegare i programmi e gli ideali delle mobilitazioni? Possibile che ci sia bisogno di chiedersi se sia troppo bella? Ma troppo bella per cosa?
Ma Obama era troppo bello? Qualche donna (o qualche uomo) si è mai chiesto se le sue capacità fossero legate alla sua bellezza? O se, forse, fosse troppo bello per poter diventare uno degli uomini più potente del Pianeta?
Ma la bellezza di una donna è evidentemente ancora legata a stereotipi di genere che la rimandano a una minaccia. Una donna troppo bella avrebbe in se il potere di corrompere, di influenzare altri uomini? Grazie a persone come Michela Marzano e al suo libro “Sii bella e stai zitta” riusciamo a capire forse meglio perché esistono ancora questi stereotipi. Ma la cosa che più dovrebbe far riflettere è che a nessuna donna viene mai in mente di dire che un uomo è troppo bello per fare politica, per occupare cariche alte, per fare carriera.
Quando smetteremo davvero di pensare a uomini e donne in maniera diversa?
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