Dopo la morte di Muammar Gheddafi, la sfida è la costruzione di un nuovo consenso nazionale
La presenza di Gheddafi, per la Libia, era ormai simbolica, ma prima della sua morte era importante riuscire a fornire un senso di “chiusura” storica alla sua dittatura. Dopo la sua morte, i responsabili dell’insurrezione devono affrontare nuove sfide, forse ancora più complesse di quanto si potesse pensare.
LA FINE DEL REGIME – È stata la caduta di Tripoli a fine agosto che ha rappresentato veramente la caduta del regime. Anche prima di allora, le fazioni stavano già discutendo per la gestione del potere. Il processo accelera ora in modo esponenziale: bisogna dare una nuova forma alla gestione della Libia. Sorgono ora i primi ragionevoli dubbi: il processo avverrà tramite un’ennesima rivoluzione drammatica o assisteremo ad una trasformazione graduale, un sorta di evoluzione politica? Dopo otto mesi di guerra intensa e saccheggio dei depositi di armi, la Libia resta una società armata. Il vuoto di sicurezza deve essere riempito da forze di difesa organizzata. Prima che gli Usa e i suoi alleati riconoscessero il Consiglio nazionale di transizione, avevano già impegnato l’opposizione Gheddafi, fornendo aiuto sia militare che finanziario. L’assistenza esterna deve ora mutare, anche se deve mantenere il ruolo fondamentale di supporto tenuto durante la fase militare della rivoluzione. L’Occidente deve procedere con cautela. Deve prevalere un tocco morbido, al contrario di una dura e forte presenza. Qualsiasi tentativo di intervenire direttamente nel processo politico, o nelle sfere correlate, può provocare una forte reazione da parte del popolo libico.
LA TRASFORMAZIONE – La trasformazione della Libia potrebbe tempistiche molto lunghe di sviluppo. Non si tratta solo di elezioni, ma si tratta di costruire una nuova società, le istituzioni civili e una nuova cultura politica. Un sistema basato sui diritti, che fa sentire i cittadini rappresentati da persone responsabili, che operano in modo trasparente. Come Politico sottolinea, le aspettative devono essere guidate dal realismo sobrio, non da un assurdo romanticismo. Gli occidentali devono frenare le speranze che una democrazia laica pluralista e liberale, che rifletta in larga misura i propri sistemi, emerga nell’immediato futuro. Quella libica resta una società tradizionale, dove la religione ha un ruolo centrale: è improbabile che si verifichi una netta divisione tra stato e religione. Esiste comunque una grande differenza, tuttavia, tra le società in cui la Sharia è applicata rigorosamente, e altre in cui la Sharia funge da “ispirazione” per i sistemi politici e giuridici. Si spera che prevalga quest’ultima soluzione, ma la scelta sarà dei libici stessi. L’eredità di 42 anni di dittatura brutale probabilmente manifestarsi ancora per generazioni. Anche se le sfide future sono enormi, non sono insormontabili, soprattutto se si considerano le vaste riserve di energia della Libia. Dopo mesi di paralisi e danni considerevoli, la produzione energetica della Libia dovrebbe tornare a livelli pre-guerra entro il 2013 e accelerare la sua ricostruzione. Ciò potrebbe rivelarsi una benedizione.
Claudia Santini
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