Pensione a 65 anni? E le donne fuggono dal pubblico impiego!

Ha inciso la prospettiva per le donne di dover lavorare cinque anni di più, c’è poi il blocco triennale dei contratti e tutte le strette sulle pensioni dei dipendenti pubblici degli ultimi anni. Secondo i sindacati anche le incertezze su future manovre hanno pesato sulle decisioni. Fatto sta che nel pubblico impiego è in corso una sommossa silenziosa: nei primi nove mesi dell’anno – dicono i dati dell’Inpdap, l’istituto di previdenza dei dipendenti pubblici – in 75.743 hanno lasciato il lavoro per andare in pensione, il 5,2% in più rispetto al settembre 2010, ma, soprattutto, le pensioni di anzianità sono state del 34% in più, da 34.477 a 52.973. Un dato in controtendenza rispetto al settore privato, dove nei primi 8 mesi del 2011, le pensioni di anzianità sono diminuite del 36,5%.

Nel pubblico, come nel privato, se si è almeno a quota 96 (60 anni d’età e 36 di contributi oppure 61 anni e 35) si imbocca la «finestra» e ci si mette a riposo. E una parte consistente dei prepensionamenti sono da attribuire all’equiparazione – che scatta dal primo gennaio prossimo – dell’età per le pensioni di vecchiaia tra uomini e donne nel pubblico impiego decisa nel 2010, per dare seguito a richieste dell’Unione Europea.

Quindi le donne andranno in pensione a 65 anni a partire dal primo gennaio, con uno scalone unico, senza fasi intermedie. Un provvedimento – disse allora il governo – che avrebbe interessato 25 mila donne. Se finora le impiegate andavano in ufficio fino a 61 anni, da gennaio dovranno lavorare fino al sessantacinquesimo compleanno e poi aspettare la finestra di uscita (passate da 4 a una sola all’anno). Un bello scaglione temporale, e la prospettiva avrebbe indotto a valutare il pensionamento anticipato. Ma per spiegare l’aumento così vistoso serve anche altro.

«Lo Stato sta cambiando le carte in tavola», dice Corrado Mannucci, sindacalista dell’Ugl e membro del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inpdap. Negli ultimi due anni: blocco degli stipendi, stop del turnover, la possibilità – dal 2009 – per l’amministrazione di imporre il pensionamento al dipendente con 40 anni di contributi. Di recente i trasferimenti interni e con la manovra di luglio il blocco della buonuscita, che chi va in pensione anticipata percepirà dopo 24 e non più 12 mesi dalla fine del servizio.

«C’è confusione totale e la paura di rimanere intrappolati, quindi ognuno cerca di portare a casa quello che gli sembra sicuro», aggiunge Mannucci. «Chi può scappa – dice anche Michele Gentile, responsabile del dipartimento Settori pubblici della Cgil – mentre prima la maggior parte dei lavoratori, pur avendo i requisiti per la pensione di anzianità restava fino ai 40 anni di contributi o fino all’età per la vecchiaia». Infatti, una parte consistente delle pensioni di anzianità (24.000 nei primi 9 mesi 2011 a fronte di 25.345 dell’intero 2010) continua a essere legata a uscite dal lavoro con 40 anni di contributi ma le altre, circa 28.000, a uscite volontarie, di personale che poteva restare al lavoro.

Le uscite per vecchiaia sono diminuite per effetto della finestra mobile passando da 15.824 a 14.941 (-5,91%). Sono diminuite anche le pensioni di inabilità (da 4.394 a 3.808 con un -15,39%) e sono crollate le anzianità con trasformazione in part time (da 12.258 a 4.021 con un -204%). La fuga dal lavoro secondo il presidente Inpdap Paolo Crescimbeni non destabilizzerà il bilancio.

 

Melania Di Giacomo per il “Corriere della Sera”

1 Comment on "Pensione a 65 anni? E le donne fuggono dal pubblico impiego!"

  1. Ma forse non era previsto, dato che riprendono 1 su 5, e dove così non è, comunque con lo stipendio di uno ad inizio di carriera?

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