Tremonti, ops mi sono sbagliato, la Manovra è tutta da Rifare!

Per ammettere quel che non più tardi di venerdì scorso aveva negato usa un efficace eufemismo: «Ristrutturare». Di fronte a industriali e sindacati schierati dall’altra parte del tavolo a Palazzo Chigi, Giulio Tremonti dice chiaramente che la manovra varata venti giorni fa, così com’è, non va più bene. L’Europa, la Banca centrale europea, ma soprattutto i mercati vogliono di più.

Inutile tentare di sostenere che aggiungere tagli a tagli è la migliore delle ricette recessive. Inutile dire che i fondamentali dell’economia italiana sono gli stessi di un mese fa, o che siamo di fronte a diktat da Washington consensus. Occorre ristabilire rapidamente la fiducia degli investitori nei confronti dell’emittente Italia. Occorre spegnere il rogo, evitare un nuovo 2008. Questa volta però non bisogna mettere al riparo i bilanci delle banche, come avvenne allora con il varo dei Tremonti Bond.

Questa volta il governo deve mettere mano ai conti pubblici, rivederegli obiettivi di deficit fissati poche settimane fa. Non occorre ristabilire solo la fiducia dei piccoli risparmiatori che investono in Bot e Cct, ma anche quella dei grandi hedge fund che in questi giorni, dai desk di Wall Street, mandano ordini di vendita sulle banche italiane e francesi, le più esposte in titoli pubblici del Belpaese.

L’unico dettaglio sul quale Tremonti si sbottona nella parte pubblica dell’incontro è proprio questo: «Il rapporto deficit-Pil quest’anno sarà del 3,8%, l’anno prossimo dovrebbe scendere fra l’1,5 e l’1,7%, e raggiungeremo il pareggio di bilancio nel 2013». In questi tre numeri si concentra la sostanza di ciò che conterrà il nuovo decreto che il governo promette di varare entro il 18 agosto.

Primo: non ci dovrebbero essere misure dall’impatto immediato sui conti di quest’anno. L’obiettivo di deficit più o meno coincide con quello già contenuto nei documenti ufficiali. Ciò non toglie che il governo, per ridurre l’indebitamento come suggerito da Mario Draghi, decida comunque una stretta sul cosiddetto fabbisogno, le spese di cassa dell’ultima parte dell’anno. Secondo: i nuovi sacrifici si concentreranno nel 2012.

Rispetto alle ultime stime del governo, si tratta di ulteriori risparmi pari a 1-1,2 punti di prodotto interno lordo. A occhio e croce, mancano all’appello venti miliardi di euro. Se a questi si somma quanto il governo aveva già deciso di fare con la manovra del 14 luglio, significa che entro la fine dell’anno prossimo dovremo aver ridotto le spese dell’azienda Italia di 35 miliardi.

Insomma, numeri da far tremare i polsi, che modificheranno i saldi finali della manovra, ma è comunque meno di quanto avevano chiesto Jean-Claude Trichet e Mario Draghi nell’ormai famosa lettera recapitata al governo la settimana scorsa: far scendere il rapporto deficit-Pil all’1% entro la fine dell’anno prossimo.

Tremonti fissa l’asticella un po’ più in alto, imponendo tagli che, dopo lunghe riflessioni, considera sostenibili per il Paese. Inutile chiedere nelle stanze di Via XX settembre se questi numeri siano considerati sufficienti dalla triade Banca d’Italia-Bce-Bruxelles. Nessuno conferma né smentisce. Ma è difficile immaginare, in tempi di commissariamento, che i vertici del Tesoro non si siano preventivamente consultati.

Ora per Tremonti viene il difficile: fare di quei numeri una manovra-bis. I vertici serali di ieri, quelli con il Pdl prima e a Palazzo Grazioli poi, sono serviti a scremare il menù messo a punto dalla Ragioneria. Per raggiungere quegli obiettivi di deficit occorre anticipare i tagli a tutti i comparti di spesa. Non solo: con quell’eufemismo «ristrutturazione» il ministro dell’Economia preannuncia nuove misure.

Bossi, contrarissimo a tagliare le pensioni, dovrà mettersi una mano sulla coscienza: Tremonti gli ha spiegato che è «impossibile» escludere il tema dalla manovra ed evitare interventi sull’anzianità. Più o meno lo stesso ragionamento fatto ai leader sindacali, ai quali ha però offerto in cambio alcune misure di equità: un abbassamento della soglia di tracciabilità delle spese in contanti a 2500 euro, un aumento del contributo di solidarietà per le fasce più alte di reddito, un taglio «immediato» ai costi della politica e alle indennità parlamentari.

Alessandro Barbera per “la Stampa”

 

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