Tremonti svende tutto!

Privatizzazioni in manovra: il ministro che le ha sempre criticate scende in campo per fare cassa

Il mito del Britannia, l’oro della Patria regalato ai privati, il complotto demoplutogiudaico e così via. Nella pubblicistica di centrodestra, e anche nel pensiero di Giulio Tremonti l’era delle privatizzazioni era sempre passata come un colpo di mano degli stranieri sul tesoro italico. Oggi non è più così e il ministro deve fare buon viso a cattivo gioco. Ecco perché, nonostante l’agitazione dei vari Calderoli, un piano di privatizzazioni parziali è presente nella manovra italiana. Ne parla Roberto Mania su Repubblica:

Tremonti ha introdotto una semplificazione delle procedure rispetto a quelle seguite nei primi anni Novanta, pur mantenendo determinate garanzie. Lo Stato potrà andare direttamente sul mercato — senza più le precedenti autorizzazioni — quando le condizioni saranno favorevoli. Ma i tempi potrebbero non essere velocissimi: il via libera a uno o più piani di privatizzazioni — secondo quanto prevede l’emendamento al decreto della manovra — potrà arrivare entro la fine del 2013. Abbastanza, tuttavia, per far apprezzare la mossa dalla Confindustria. Di certo è un cambio di rotta, o almeno di orientamento, nella strategia del governo se si pensa che nello stesso Documento di economia e finanza (il nuovo Dpef) il tema delle privatizzazioni è sostanzialmente ignorato. Nel 2010 anno in cui — secondo il tradizionale rapporto sulle privatizzazioni curato dalla Fondazione Eni Enrico Mattei e da Kpmg — la Francia iper-statalista ha incassato 10,5 miliardi dalle dismissioni, noi ci siamo fermati alla vendita del 30 per cento di Enel Green Power per 2,6 miliardi di euro.

Ma Tremonti, come nella pubblicità dell’anello che lo caricaturizzava, ha cambiato idea:

«Dobbiamo certamente mettere inizio a un processo di privatizzazione, passata la crisi che ha bloccato tutto», ha detto Tremonti nel suo intervento all’assemblea dell’Abi dove ad ascoltarlo c’era anche il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, regista, come direttore generale del Tesoro, delle privatizzazioni, realizzate dai governi Amato, Ciampi e Prodi, assai criticate dal ministro spesso proprio in funzione anti-Draghi. Acqua passata di fronte alla gravità della nuova crisi. In ballo ci sono potenzialmente miliardi di introiti. Perché si possono vendere le Poste (qualche anno fa si stimava che dalla disarebbero ricavati circa 4 miliardi), le Ferrovie, ancora totalmente controllate dallo Stato. E l’Alta velocità è un business molto redditizio. Vale tra gli otto e i dieci miliardi di euro. Con l’ad Mauro Moretti che vuole andare in Borsa. Ci sono la Rai, la Sace, l’Enac. E poi frazioni per quanto molto ridotte delle quotate Eni («è una decisione che spetta all’azionista», si è limitato a dire ieri il presidente del “Cane a sei zampe”, Giuseppe Recchi), Enel, Finmeccanica, che in questi decenni, attraverso i generosi dividendi, hanno sostenuto eccome le casse dello Stato.

Infine, ci sono le municipalizzate. Solo che per l’acqua ci sarà da passare sul referendum:

Per non parlare del nuovo pervasivo “capitalismo municipale”, quello dei servizi locali, dall’acqua, ai trasporti; dalla gestione del ciclo dei rifiuti all’elettricità. Ci sono più di un migliaio di imprese di dimensioni medio grandi con oltre 250 mila dipendenti. Ma se si considerano anche le micro aziende si supera l’asticella delle cinquemila unità. Le possiedono tutti: i Comuni, le Province, le Regioni e via dicendo. In media ciascun ente a tutti livelli ne controlla circa 7,5. È un pezzo di capitalismo italiano gestito molto male. Secondo una ricerca a più mani (“Comuni spa. Il capitalismo municipale in Italia”, edita dal Mulino), sono in perdita il 70 per cento delle imprese pubbliche locali delle regioni meridionali, la metà di quelle del centro Italia, e il 30 per cento di quelle del nord. Dalla privatizzazione di molte di queste aziende, che quasi sempre operano in condizioni di monopolio, si potrebbero ricavare — stando ad alcune stime — tra i 30 e i 35 miliardi. D’altra parte è proprio da qui che Tremonti pensa di cominciare.

 

 

Dipocheparole

 

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