Berlusconi precisa il contenuto delle sue dichiarazioni sull’istruzione di Stato. Ma il sistema è stato massacrato dalle sue riforme.
Per Silvio Berlusconi il problema è l’ideologia che si annida dietro le lavagne degli istituti pubblici italiani. Non la scuola pubblica in sè, ma le riserve indiane di insegnanti rossi nascosti dietro ale cattedre di letteratura e storia. Questo il senso delle precisazioni che il premier oggi esterna a parziale rettifica dei suoi ululati contro il sistema di istruzione pubblica nazionale.
RETTIFICHE – Su tutti i giornali il contenuto delle sue affermazioni.
Secondo quel meccanismo che va avanti ormai da alcuni anni e secondo il quale Berlusconi crea un caso con le sue parole, viene attaccato, sente il dover di precisare il giorno dopo, spiegando meglio il suo pensiero e attaccando a sua volta chi in malafede avrebbe distorto il senso delle sue dichiarazioni, anche ieri il capo del governo ha sentito il dovere di dire qualcosa in merito all’ultimo caso della sua comunicazione, ovvero che non ha mai criticato la scuola pubblica. Riconosce lui stesso che accade troppo spesso, dice «come al solito» all’inizio di una nota ufficiale, poi però precisa che le parole che ha pronunciato sulla scuola pubblica «sono state travisate e rovesciate da una sinistra alla ricerca, pressoché ogni giorno e su ogni questione possibile, di polemiche infondate, strumentali e pretestuose». Ecco allora il pensiero originale e a scanso di fraintendimenti del presidente del Consiglio sull’argomento: «ll mio governo ha avviato una profonda e storica riforma della scuola e dell’Università, proprio per restituire valore alla scuola pubblica e dignità a tutti gli insegnanti che svolgono un ruolo fondamentale nell’educazione dei nostri figli in cambio di stipendi ancora oggi assolutamente inadeguati». «Questo non significa – si legge ancora nel comunicato – non poter ricordare e denunciare l’influenza deleteria che nella scuola pubblica hanno avuto e hanno ancora oggi culture politiche, ideologie e interpretazioni della storia che non rispettano la verità e al tempo stesso espropriano la famiglia dalla funzione naturale di partecipare all’educazione dei figli».
E quindi, viva la scuola pubblica, risorsa del paese, per come modificata e rimessa in piedi proprio dal suo governo con la riforma Gelmini.
LE RIFORME – Andiamo bene, direbbe qualcuno. Visto che la riforma Gelmini dell’Università non è altro che l’applicazione operativa dei tagli drastici decisi al comparto scolastico dalla precedente riforma degli ordinamenti, il ddl 133 contro il quale si alzò la protesta dell’Onda Anomala. E si ricordano le battaglie furibonde del ministro Mariastella Gelmini per farsi garantire dal ministro del Tesoro Giulio Tremonti quel minimo di fondi necessari al funzionamento del comparto scolastico: segno che per trovare qualcosa bisogna davvero ravanare il fondo del barile. L’Unità oggi fa esercizio di memoria mettendo in fila tutti i tagli che l’esecutivo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi ha inflitto al comparto della scuola di Stato.
QUALCHE DATO – Così si comprende che oltre alle rettifiche per dimostrare di tenere sul serio alla scuola di tutti bisognerebbe fare qualcosa in più.
Calvario della scuola pubblica in questi quasi tre anni di governo Berlusconi si riassume in pochi numeri. Otto miliardi di euro di tagli in tre anni, tagli puri, decisi per fare cassa a spese di un“bene” considerato del tutto inutile, e poi camuffati dalla cosiddetta riforma Gelmini, quella del maestro unico e del grembiulino.130mila insegnanti tagliati, più 45mila tecnici Ata. Un’ecatombe, che ha attaccato al cuore la scuola primaria, che fino a quel momento era uno dei fiori all’occhiello del sistema scolastico italiano, smontando il modulo dei tre maestri che ruotavano su due classi. Per non parlare del tempo pieno, con le domande delle famiglie in aumento e le risposte congelate a quel25%su base nazionale che, in molte zone, significa dire a no a più della metà delle richieste. Non è un caso che per due anni scolastici consecutivi, quello in corso e il precedente, gli italiani abbiano sonoramente bocciato il modello di scuola elementare a 24-27 ore proposto dalla Gelmini, privilegiando (con percentuali dell’80%) il modulo a 30 e il “tempo pieno” a 40 ore. E non è un caso che, a un certo punto, il ministero abbia smesso di fornire i dati sulle richieste di tempo pieno. (…) Di fronte a questi numeri non servirebbe neppure scomodare i dati Ocse sugli investimenti nell’istruzione tra i paesi membri. Stando alle ultime rilevazioni disponibili, l’Italia è inchiodata al 4,5% del Pil, contro una media Ocse del 5,7%. Solo la Slovacchia spende dimeno (4%), e il Belpaese è stato scavalcato anche da Estonia (5%) e Brasile (5,2%). Nel suo insieme, la spesa pubblica italiana nella scuola (inclusi sussidi alle famiglie e prestiti agli studenti) è pari al 9% di quella pubblica totale, il livello più basso tra i paesi industrializzati (13,3% la media Ocse). Una spesa in gran parte destinata agli stipendi dei docenti, che tuttavia sono ampiamente sotto la media Ocse. Un disastro insomma.
Tommaso Caldarelli
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