Ora che vanno spegnendosi i festeggiamenti di Cisl e Uil per la (mezza) vittoria di Marchionne e la “sinistra” Pd tira un sospiro di sollievo per esser riuscita a mantenersi coerente con se stessa – prima Calearo ora Marchionne, il pantheon del partito si allarga – vorrei provare a mettere assieme qualche pezzo di quanto accaduto in questi giorni. Senza pretese di approfondite analisi, solo un personale brainstorming.
Marchionne non ha inventato molto di nuovo, da anni nel mondo globalizzato dove capitali e merci si spostano facilmente (e quindi anche i mezzi di produzione) ma la forza lavoro no, viene utilizzata l’arma della minaccia di portar altrove la produzione se non saranno accettate dai lavoratori le condizioni dell’azienda. Il meccanismo è vecchio, ma evidentemente una cosa è se ad attuare il ricatto è un’azienda poco nota, un altro se è la Fiat, ed è per questo che quanto accaduto a Mirafiori getta un ombra inquietante sul futuro delle relazioni tra lavoratori e imprese.
Se l’industria più importante del paese, sotto i riflettori più d’ogni altra e al centro di chissà quali intrecci con la Casta può permettersi di dichiarare cosi apertamente il ricatto, che problemi dovrebbero farsi domani tutti gli imprenditori italiani grandi e piccoli a ricorrer allo stesso metodo?
Davanti a questo rischio i sindacati dovranno sforzarsi sempre di più di trovare una risposta forte in grado di riequilibrare le forze contrattuali, che le delocalizzazioni facili hanno sbilanciato fortemente in favore degli imprenditori.
Trovo però che la Fiom abbia il grande merito di aver fatto capire, al di la del giubilo pubblico di Marchionne e Governo dopo il referendum, necessari per mascherare la tensione da disfatta sfiorata (per appena il 4%), che il tentativo di impostare le future relazioni sindacali su queste basi sarà tutt’altro che facile e indolore, perché tutti i Marchionne d’Italia sembrano non aver fatto i conti con un dettaglio, che è un bel macigno sulla strada dei turbo capitalisti selvaggi come lui: la dignità alla quale non tutti i lavoratori sono disposti a rinunciare. Soprattutto quando è chiaro che dopo essersi arresi una volta, sarà difficile resistere la seconda e impossibile la terza e non sarà più possibile arrestare la “cinesizzazione” delle fabbriche italiane.
Questo rischio gli operai Fiat sembrano averlo fiutato, poiché se già il risultato dei no a Pomigliano sorprese tutti, oggi a Mirafiori il mirabolante esito mostra che il ricatto non spaventa più come la prima volta. Va ricordato infatti che in vari reparti metalmeccanici, dove i sacrifici imposti dall’accordo saranno più duri, i no hanno stravinto e in generale, il voto tra gli operai si è concluso con un deciso pareggio.
36% a Pomigliano a giugno, 46% a Mirafiori in gennaio, Marchionne ne ha per non dormire tranquillo al prossimo appuntamento.
C’è anche un’altra questione che emerge dal dibattito di questi giorni, purtroppo passata in secondo piano: le condizioni di vita dei lavoratori. Che in cambio della propria forza lavoro si aspettano certo come prima cosa uno stipendio, ma anche la possibilità di organizzare la vita quotidiana in maniera dignitosa e sostenibile. E quindi orari decenti e programmati in anticipo, momenti di pausa sufficienti a non stramazzare, garanzie in caso di infortunio o malattia o in generale per qualsiasi impedimento che può sorgere nel corso della vita. Sono tutti elementi che insieme determinano le condizioni di vita della persona.
È ovvio che nel determinarle il salario ha una parte dominante, ma sarebbe assurdo pensare che il benessere dipenda esclusivamente dal reddito. Mi sembra una visione arcaica che vede l’uomo come un cavallo, a cui basta fieno e un po’ di riposo per lavorare di più, ma è esattamente quella fatta propria da personaggi chiave come Bonanni, che chiedono di votare si al referendum perché “il salario sarà più alto”, punto e basta. Che l’analisi di un sindacalista possa fermarsi a un metro da proprio naso è scoraggiante, ma quando questa coincide con quella di un imprenditore che in cambio di più soldi pensa di poter chieder qualunque sacrificio, fa gridar vendetta.
Le ultime righe per la Fiom e la sua capacità, sindacato operaio, di radunare attorno a se un movimento di realtà che con i metalmeccanici non parrebbero centrare un tubo. Le infinite dichiarazioni di sostegno in questi giorni confermano quella “alleanza” nata a Roma il 16 ottobre, dove a fianco del sindacato sfilarono gli studenti che si battono contro la pseudo riforma Gelmini, i terremotati dell’Aquila, il Popolo Viola, gli indipendentisti sardi, immigrati, pensionati, precari e decine di gruppi grandi e piccoli d’ogni forma e colore espressione della società civile, che non manifestavano per le rivendicazioni degli operai, ma per un modello di società contrario a quello che i Berlusconi e i Marchionne vogliono creare, di cui parole come lavoro, diritto, studio, dignità ne sono i fondamentali.
Perciò Giacomo Russo Spena può ben dire su Micromega che “Il referendum a Mirafiori non è solo una vertenza metalmeccanica, ma parla a tutti noi. Parla di difesa di dignità, di rispetto del lavoro, di diritti, di democrazia, di modello di società.”
Alessandro Marmiroli
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